morti sul lavoro al 15 marzo 2024

OSSERVATORIO NAZIONALE DI BOLOGNA MORTI SUL LAVORO Il primo osservatorio nato in Italia (e ancora l’unico) che monitora e registra tutti i morti sul lavoro in Italia dal 1° gennaio 2008, anche quelli che non dispongono di un’Assicurazione o che ne hanno una diversa da INAIL Attivo dal 1° gennaio 2008 Una voce fuori dal coro minimalista su queste tragedie Morti sul lavoro nel 2024 al 15 marzo Dall’inizio dell’anno sono morti per infortuni in 211 per infortuni sui Luoghi di lavoro (tutti registrati) e 273 se si aggiungono i morti in itinere L’unico osservatorio che monitora da 17 anni i morti sul lavoro, compresi i non assicurati a INAIL e i lavoratori in nero, nelle province ci sono i morti monitorati dall’Osservatorio, tra parentesi nelle regioni i morti con itinere e in altri ambiti lavorativi. Per noi chiunque muore mentre svolge un lavoro è considerato un morto sul lavoro Nel 2023 i lavoratori morti per infortuni sono stati 1485, 986 di questi sui Luoghi di lavoro gli altri sulle strade e in itinere, soprattutto in agricoltura e in edilizia Aperto da Carlo Soricelli per non dimenticare i sette operai della ThyssenKrupp di Torino morti poche settimane prima. Da 17 anni i morti sui luoghi di lavoro sono tutti registrati in apposite tabelle Excel con l’indicazione di data del decesso, provincia e regione della tragedia, identità della vittima, età, professione, nazionalità e cenni sull’infortunio mortale. dall’assicurazione che ha o se non l’ha affatto (lavoro in nero) o agricoltore anziano. Dal 1° gennaio 2008, anno di apertura dell’Osservatorio al 31 dicembre 2023, sono morti complessivamente 21050 lavoratori, di questi 10474 per infortuni sui luoghi di lavoro (tutti registrati in tabelle excel ). ma purtroppo sulle strade e in itinere sfuggono comunque diversi lavoratori Le ore impiegate in questi 15 anni di monitoraggio con lavoro volontario sono state oltre 30000. Continuano ad alterare la percezione del fenomeno con dati parziali e assurdi anche nel 2023 con “indici occupazionali” quando il 30% dei morti non ha nessuna assicurazione o hanno un’assicurazione diversa da INAIL che diffonde solo i propri morti che in diversi copiano. MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO NELLE REGIONI E PROVINCE ESCLUSO ITINERE. Aggiunti nella Regione i morti sulle autostrade regionali, tra parentesi i morti nelle Regioni compresivi di itinere. N.B i morti sono segnalati nelle province e regioni dove c’è stata la tragedia LOMBARDIA 25 (37) Milano 4, Bergamo 1 Brescia 9 Como 1 Cremona 2 Lecco 1 Lodi Mantova 2 Monza Brianza 2 Pavia 2 Sondrio Varese 2 TOSCANA 19 (26) Firenze 7 Arezzo Grosseto Livorno, Lucca 1, Massa Carrara 1 Pisa‎ 4 Pistoia Siena 1 Prato 3 EMILIA ROMAGNA 18 (24) Bologna 5 Rimini Ferrara 3 Forlì Cesena 3 Modena 3 Parma 2 Ravenna Reggio Emilia 1 Piacenza SICILIA 16 (23) Palermo 6 Agrigento Caltanissetta Catania 2 Enna Messina 4 Ragusa Siracusa 1 Trapani‎ 2 CAMPANIA 19 (26) Napoli 7, Avellino 3 Benevento , Caserta 6 Salerno 3 VENETO 12 (16) Venezia 2 Belluno Padova‎ Rovigo Treviso 4 Verona 4 Vicenza 2 LAZIO 13 (18) Roma 5 Viterbo 2 Frosinone 4 Latina Rieti TRENTINO ALTO ADIGE 12 (15) Bolzano 6 Trento 5 PIEMONTE 9 (14) Torino 3 Alessandria (1 cantiere autostradale) Asti 1 Biella Cuneo 2 Novara 2 Verbano-Cusio-Ossola Vercelli PUGLIA 11 (15) Bari 3, BAT 1 Brindisi 2 Foggia 3 Lecce 2 Taranto SARDEGNA 9 (13) Cagliari 2 Sud Sardegna 1 Nuoro1 Oristano 1 Sassari 4 ABRUZZO 8 (12) L'Aquila 2 Chieti 3 Pescara Teramo 2 Ascoli Piceno 1 MARCHE 7 (9) Ancona 2 Macerata 3 Fermo 1 Pesaro-Urbino 1 FRIULI VENEZIA GIULIA 6 (8) Pordenone 3 Triste 1 Udine 1 Gorizia LIGURIA 5 (6) Genova 1 Imperia 2 La Spezia Savona 1 UMBRIA 4 (5) Perugia 4 Terni CALABRIA 4 Catanzaro 1 Cosenza 2 Crotone Reggio Calabria 1 Vibo Valentia BASILICATA 2 (3) Potenza 2 Matera Molise Campobasso Isernia VALLE D’AOSTA 1 I morti sulle strade. I morti sul lavoro sono segnati nella provincia dove è avvenuto l’infortunio mortale e non in quella di residenza. Nelle province non sono segnati i morti in autostrada avvenuti nella Regione Curatore Carlo Soricelli, metalmeccanico in pensione e artista sociale da oltre 50 anni Per contatti carlo.soricelli@gmail.com https://www.facebook.com/carlo.soricelli https://www.facebook.com/osservatorioindipendente/ https://www.instagram.com/pittorepranico/channel/?hl=it su Twitter @pittorecarlosor 18 gli schiacciati dal trattore 22 morti gli autotrasportatori, altrettanti morti tra gli automobilisti (molti lavorano sulle strade essendo agenti di Commercio) e i passeggeri (non inseriti tra i morti sul lavoro) che hanno la sventura di incrociarli o di essere a bordo, spesso gli incidenti sono provocati da stanchezza e malori alla guida 26 gli operai/e, morti di fatica impiegati/e, agricoltori/e, braccianti, autotrasportatori ecc. morti per fatica e malori sui luoghi di lavoro: nel 2023 a luglio e agosto una strage per il caldo e per le condizioni in cui lavoravano soprattutto nei cantieri e sui campi 26 i morti in infortuni domestici tra questi 3 bambini 11 i taglialegna morti travolti dall’albero che tagliavano Complessivi morti sui luoghi di lavoro dal 2019 3869 morti Attenzione se si contano tutti anche i morti in itinere e in altri ambiti lavorativi in questi ultimi 6 anni completi e sommati come fa INAIL si arriva a contarne 5285

grafico 15 anni

grafico 15 anni
Morti sul lavoro al 10 marzo del 2024 comparati con gli ultimi 5 anni e con l'anno di apertura dell'Osservatorio....e parlano di cali

Le province nel 2023

Le province nel 2023
guarda la situazione della tua provincia Morti sui luoghi di lavoro nelle province nel 2023 dalla più virtuale Livorno, a Rieti la peggiore

Flavio Insinna recita la poesia di Carlo Soricelli "Morti Bianche"

Chiamatele pure morti bianche. Ma non è il bianco dell’innocenza- non è il bianco della purezza- non è il bianco candido di una nevicata in montagna- E’il bianco di un lenzuolo, di mille lenzuoli che ogni anno coprono sguardi fissi nel vuoto- occhi spalancati dal terrore- dalla consapevolezza che la vita sta scappando via. Un attimo eterno che toglie ogni speranza- l’attimo di una caduta da diversi metri- dell’esalazione che toglie l’aria nei polmoni- del trattore senza protezioni che sta schiacciando- dell’impatto sulla strada verso il lavoro- del frastuono dell’esplosione che lacera la carne- di una scarica elettrica che secca il cervello. E’ un bianco che copre le nostre coscienze- e il corpo martoriato di un lavoratore. E’ il bianco di un tramonto livido e nebbioso. di una vita che si spegne lontana dagli affetti. di lacrime e disperazione per chi rimane. Anche quest’anno oltre mille morti- vite coperte da un lenzuolo bianco. Bianco ipocrita che copre sangue rosso- e il nero sporco di una democrazia per pochi. Vite perse per pochi euro al mese- da chi è spesso solo moderno schiavo. Carlo Soricelli

Grazie a tutta la redazione di Via delle Storie, a Giorgia Cardinaletti, a Giovanna Brausier

Carlo Soricelli attività artistica

Carlo Soricelli Metalmeccanico in pensione. Pittore-scultore. Soricelli nasce a San Giorgio del Sannio in provincia di Benevento nel 1949, ed all'età di quattro anni si trasferisce a Bologna con la sua famiglia. Nella tarda adolescenza Soricelli comincia a produrre i primi quadri in cui si nota un forte interesse per le problematiche legate all'ecologia ed una grande attrazione nei confronti della natura; lo si vede negli animali che ripropone spesso e negli alberi morenti che assumono sembianze umane. Fin d'allora l'arte di Soricelli è di denuncia nei confronti di una società che sta progredendo alle spese dell'equilibrio ambientale e della giustizia sociale. Nei primi anni Settanta i soggetti delle opere diventano soprattutto figure umane legate al mondo dell'emarginazione, accattoni, raccoglitori di cartone, handicappati, anziani, ma anche lavoratori ed operai che incontra ogni giorno sul posto di lavoro. Nelle sue tele ci scontriamo con visi stanchi ed abbruttiti, solcati dalla sofferenza e dalla solitudine, con corpi pesanti che non hanno niente del bello classico, cromatismi scuri di nero, marrone, blu, mai decorativi. Non c'è speranza, né si allude a qualche possibilità di riscatto, ma troviamo una costante messa in visione di tutto ciò che normalmente siamo portati ad evitare perché disturbante. Questa pittura, che giunge immediata ed essenziale, è spesso associata al filone dell'arte Naïve, quella di grandi come Ligabue, Covili, Ghizzardi. Infatti, a partire dall'84, Soricelli inizia ad esporre alla Rassegna di Arti Naïves ospitata presso il Museo Nazionale "Cesare Zavattini" di Luzzara a Reggio Emilia, dove riceve vari riconoscimenti tra cui il titolo di Maestro d'arte. All'inizio degli anni Ottanta l'artista bolognese realizza le prime opere di scultura, ulteriore ed efficace veicolo espressivo del suo messaggio; è del 1985 “Il Consumista”, scultura emblematica in cui una creatura umana mostruosa, vestita di ritagli di spot e slogan pubblicitari, sta divorando se stesso ed ancora, del 1989, Il Comunicatore, ironica e brutale visione Orwelliana. Già dai primi anni Ottanta Soricelli propone il tema degli angeli e lo elabora a suo modo; l'angelo è l'escluso, prima schiacciato e deformato, ora alleggerito da un paio d'ali che garantiscono una dignitosa speranza, non tanto con l'intento di avvicinare al sovrannaturale, ma al contrario per riportare l'esistenza ad un'unica dimensione Umana. Da vent’anni Soricelli sta lavorando a quella da lui definita Pittura Pranica, che consiste nella visualizzazione dell'energia comune a tutti gli esseri viventi allo scopo di produrre effetti terapeutici per mente e corpo dell’osservatore La prima opera pranica del 1996 Soricelli si ritrae nelle vesti di cavaliere pranico, è stata acquistata dal Museo Zavattini. Soricelli espone dal 1976 con circa una settantina di mostre, tra cui quelle al Palazzo Re Enzo di Bologna nel 1986, alla Festa Nazionale dell'Unità di Reggio Emilia con una personale insieme a Cesare Zavattini nel 1995 e presso Palazzo d'Accursio a Bologna nel 1996. Ha esposto con prestigiose mostre in Francia, Germania, Unione Sovietica, Grecia e Jugoslavia. E' presente in numerose collezioni pubbliche e private ed è presente in diversi musei. Da 15 anni ha aperto a Casa Trogoni di Granaglione, in provincia di Bologna, una casa museo delle sue opere, visitabile al pubblico su appuntamento. Una stanza è stata dedicata alla pittura pranica e qui nel silenzio chi vuole può gratuitamente sottoporsi all’esperimento di autoguarigione attraverso la visione delle opere praniche. Da qualche anno ha ripreso a creare opere che faceva già dagli anni ottanta con materiali di scarto della nostra società, trovati sulle strade come per esempio mozziconi di sigarette e copricerchioni, di fianco a bidoni della spazzatura, macerie di vecchie case ecc. Ha chiamato questo filone d’arte “Rifiutismo”. Nel 1997 ha pubblicato un libro dal titolo “Maruchèin”, con prefazione di Pupi Avati, in cui ha raccontato le sue esperienze di bambino meridionale emigrato al Nord negli anni Cinquanta. Nel 2001 ha pubblicato il suo secondo libro “Il Pitto” con prefazione di Maria Falcone. Il terzo “Pensieri liberi e sfusi”, il quarto “La classe operaia è andata all’inferno”, il quinto ”Terramare” e il sesto “Porta Collina, l’ultima battaglia dei Sanniti”. Il sesto Pensieri Liberi e Sfusi, il settimo un libro di poesie “Canti Aionici”. E' l'ideatore e curatore dell'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro sito http://cadutisullavoro.blogspot.it/ . Attivo dal 1° gennaio 2008 in ricordo dei sette operai della ThyssenKrupp di Torino morti tragicamente poche settimane prima. E' il primo osservatorio indipendente sulle morti sul lavoro nato in Italia ed è formato solo da volontari diventando punto di riferimento nazionale per chi cerca notizie su queste tragedie.

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martedì 28 maggio 2013

Si fanno sempre seminari,incontri, corsi,ma non si arriva mai al nocciolo del problema

sono incredibili questi seminari, non tengono mai conto di realtà come la nostra, diventata punto di riferimento nazionale su queste tragedie che colpiscono oltre 1000 lavoratori ogni anno. Realtà che monitora i morti sul lavoro dall'ormai lontano 1° gennaio 2008. Parlano sempre "tra di loro" senza sapere mai com'è veramente la realtà, almeno per quanto riguarda i morti sul lavoro che sono mediamente il 25/30% in più di quelli monitorati dalle statistiche ufficiali. E la cosa ben più grave è che questi interventi, come la distribuzione a pioggia delle risorse, non aiutano minimamente ad attenuare il fenomeno che ci vede primi in questo triste primato in Europa, anche la Regione Emilia Romagna, da quando è iniziato il monitoraggio delle vittime è sempre al vertice di questa triste classifica, ma mai nonostante le continue mail mandate ai vari assessorati e alla segreteria della Presidenza della regione, si sono degnati di rispondere o di contestare i dati veramente poco edificanti inerenti alle morti sui LUOGHI DI LAVORO di questa regione. Poi ci si meraviglia dell'astensione e della politica così distante dai cittadini. I cittadini e i volontari come noi, che dedicano come volontari il loro tempo libero per sensibilizzare verso queste tragedie meritano rispetto e considerazione. Carlo Soricelli A Bologna, il 27 maggio 2013, si è svolto il 42° Seminario del Programma Interdisciplinare di Ricerca Organization and Well-being, “Contro le ‘danze immobili’ sulla prevenzione nei luoghi di lavoro”, in collaborazione con Inchiesta, CGIL Emilia Romagna, Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna. Interventi di: Vittorio Capecchi (Direttore di Inchiesta), Giovanni Rulli (Medicina del lavoro), Paolo Pascucci e Franco Focareta (Diritto del lavoro), Michela Marchiori e Francesco M. Barbini (Teoria dell’organizzazione), Gino Rubini e Andrea Caselli (CGIL Emilia Romagna), coordinazione di Bruno Maggi (Programma Organization and Well-being, Università di Bologna e Ferrara ). Il Programma Interdisciplinare di Ricerca Organization and Well-being realizza da trent’anni prevenzione primaria con attività di analisi di situazioni di lavoro, di progettazione ergonomica, di formazione, e promuove studi, pubblicazioni e dibattiti scientifici (www.taoprograms.org). Premessa “Il numero degli infortuni sul lavoro è in calo”, “scendono gli incidenti mortali”, comunica l’INAIL da qualche anno, senza confrontare i dati degli incidenti con i dati riguardanti l’occupazione e il tempo di lavoro, cioè l’effettiva esposizione ai rischi. La notizia del decremento degli incidenti nei luoghi di lavoro, in particolare gli incidenti mortali, è ripresa di solito con enfasi dai mezzi di comunicazione, e ha come ovvia conseguenza molteplici rassicurazioni, di cui è invece assai opportuno diffidare. Porta, infatti, a credere che la prevenzione sia migliorata. E che ciò dipenderebbe da una serie di fatti tra loro connessi: l’adeguatezza e l’efficacia delle norme vigenti in tema di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, la validità delle “buone pratiche” raccomandate dall’ISPELS e poi dall’INAIL, il comportamento appropriato delle imprese, la fondatezza scientifica dell’approccio alla prevenzione comunemente diffuso e sostenuto dalle discipline del lavoro, e così via. Purtroppo tutto ciò non corrisponde a verità. La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro non è affatto migliorata. Le norme vigenti sono peggiori delle precedenti e in genere non sono nemmeno rispettate; le pratiche raccomandate e l’approccio che viene proposto allontanano, di fatto, da una reale prevenzione. E anzitutto non è vero che l’incidenza degli infortuni sia effettivamente in diminuzione. L’incidenza degli infortuni Vediamo a confronto alcuni dati. Gli incidenti mortali – secondo l’INAIL – sono stati in media: 3,03 al giorno nel 2007; 3,06 nel 2008; 2,87 nel 2009; 2,68 nel 2010; 2,43 nel 2011; 2,38 nel 2012. Ma non va dimenticato che gli incidenti di cui parla l’INAIL sono esclusivamente quelli ufficialmente dichiarati a questo istituto e riguardanti i lavoratori a esso iscritti per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Numerose categorie di lavoratori regolarmente occupati non sono considerate. L’occupazione complessiva è costantemente calata negli stessi anni: secondo i dati ISTAT, nel 2008 sono registrati 128.000 occupati in meno rispetto all’anno precedente, nel 2009 altri 204.000 occupati in meno; la tendenza non varia sino al quarto trimestre 2012, quando il numero degli occupati diminuisce di altre 148.000 unità rispetto a un anno prima. La flessione è particolarmente sensibile nell’industria, e tra i dipendenti a carattere permanente; nel 2012 si arresta inoltre la crescita dei dipendenti a termine. Secondo l’INPS le richieste di disoccupazione nei primi 11 mesi del 2012 sono state 1.285.299, con un aumento del 14,49% rispetto allo stesso periodo del 2011. Contemporaneamente la richiesta di cassa integrazione è aumentata a dismisura: +300% nel 2009 rispetto al 2008; un ulteriore +60% nel 2010; l’INPS attesta che nel 2010 le ore di cassa integrazione sono state quasi 1.200 milioni, 973 milioni nel 2011, 1.090 milioni nel 2012. Le ore lavorate totali sono, per queste ragioni, notevolmente diminuite. Una rilevazione dell’ISTAT pone in evidenza che, accanto alla diminuzione di posti di lavoro, va considerata la riduzione delle ore di lavoro degli occupati: nel secondo trimestre del 2012, ogni lavoratore dipendente ha lavorato un numero di ore in meno pari al 2,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e nell’industria la flessione è stata del 3,2%. Anche in assenza di elaborazioni accurate, che sappiano tener conto congiuntamente delle variabili enumerate, appare evidente che è diminuita l’effettiva esposizione ai rischi. Ciò in generale, e in particolare nell’industria, dove di solito si verificano gli incidenti più gravi. E’ in questo quadro che occorre collocare la valutazione dei dati dell’INAIL sugli infortuni. E chi volesse persistere nel trarre da essi conforto sulla tutela della salute e della sicurezza, dovrebbe contestualmente giustificare il costante aumento delle malattie professionali, attestato dalla stessa fonte INAIL. Rispetto al 2007, le malattie professionali dichiarate hanno fatto registrare nel 2008 un incremento del 4%, nel 2009 del 20%, nel 2010 del 46%, nel 2011 del 60%. Sin qui, inoltre, si tratta di lavoro regolare. Gli incidenti nel lavoro irregolare non compaiono. Ma non si può non tenerne conto in una valutazione esauriente, solo perché non se ne ha ufficiale notizia. Anche sull’entità del lavoro irregolare si hanno soltanto stime, tuttavia sufficientemente impressionanti. Una stima dell’ISTAT indica per il 2010 due milioni e seicentomila lavoratori “in nero”, molti dei quali svolgono più di un lavoro irregolare, per cui le “unità di lavoro in nero”, secondo il linguaggio usato dall’ISTAT, sarebbero nel 2010 circa tre milioni. Secondo stime dell’Eurispes, già nel 2007 più di un terzo dei lavoratori dipendenti esercitava un secondo lavoro “in nero”, cui si doveva aggiungere il contributo di circa due milioni di pensionati e di circa seicentomila immigrati con permesso di soggiorno. Il lavoro degli immigrati irregolari sfugge anche a queste stime, peraltro sempre prudenti, poiché necessariamente basate su analisi indirette. Quanti sono gli incidenti, e le malattie professionali, nel lavoro irregolare, ove si può presumere che vi sia ancor minore tutela della salute e della sicurezza che nel lavoro regolare? Quanti sono, complessivamente, gli incidenti sul lavoro, quanti in più rispetto ai soli incidenti dichiarati? Infine, si dovrebbero includere nel calcolo i casi di suicidi indotti sia dalla perdita dell’occupazione sia dall’insostenibilità delle sue condizioni. Se si guarda con attenzione all’incidenza dei danni occorsi alla salute dei lavoratori, cominciando dai più gravi e con esiti letali, non si può affermare che negli ultimi anni si sia ridotta, assai probabilmente si è invece accresciuta. Le pratiche correnti Invece di coltivare rassicurazioni sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, occorre chiedersi perché non migliora, ma semmai peggiora. Cominciamo dalle pratiche correnti. Come si comportano le imprese? Le grandi imprese, spesso multinazionali, attuano in larga misura scelte di delocalizzazione di parti delle proprie attività. Secondo l’ISTAT il 29,3% delle grandi imprese, e l’11% delle medie imprese, realizza attività all’estero. Nel settore industriale l’incidenza della delocalizzazione di attività all’estero da parte delle grandi imprese è di circa il 32%, per le medie imprese ammonta all’11,3%. La delocalizzazione è solitamente diretta verso paesi caratterizzati da livelli salariali più bassi, ma anche da sistemi legislativi e di controllo meno stringenti in materia di sicurezza sociale, orari di lavoro, tutela delle libertà sindacali, e di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In gran parte riguarda lavori gravosi e maggiormente soggetti a rischi. Per quanto riguarda le attività svolte sul territorio nazionale, le grandi imprese sono propense a calcolare per le possibili ammende e per le difese legali voci di spesa inferiori a quanto richiederebbe il rispetto delle norme. Le piccole e medie imprese possono fare affidamento sulla bassissima probabilità di controlli. Nelle varie regioni si calcola la presenza di un ispettore del lavoro ogni circa 1.500 – 2.000 imprese: ogni impresa può essere sottoposta a ispezione in media una sola volta nell’arco di un numero considerevole di anni. Le stesse norme vigenti, peraltro, concedono alle imprese ampie discrezionalità nella tutela della salute e della sicurezza. I datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono avvalersi delle “procedure standardizzate” di valutazione dei rischi elaborate dalla Commissione consultiva permanente. In attesa di tali procedure, e comunque dal 2008 a fine giugno 2012, i datori di lavoro che occupavano fino a 10 lavoratori hanno potuto “autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi”. Ciò ha disposto l’art. 29, ai commi 5 e 6, del d.lgs.81/2008, il “testo unico” vigente in tema di “tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. L’art. 30 dello stesso decreto esime da responsabilità persone giuridiche, società e associazioni (secondo il d.lgs. 231/2001) che adottano un “modello di organizzazione e di gestione” che implica l’adempimento degli obblighi giuridici riguardanti la salute e la sicurezza. Sono ritenuti conformi ai requisiti (comma 5) i modelli che seguono le linee guida UNI-INAIL “per un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro” del 2001, o il British Standard OHSAS 18001:2007. Ulteriori “modelli” possono essere indicati dalla Commissione consultiva permanente. E’ opportuno tradurre il linguaggio involuto e nello stesso tempo impreciso del legislatore. Le procedure non possono non essere standard, e i “modelli di organizzazione e di gestione” non sono altro che insiemi di procedure. Le disposizioni citate dicono, in sostanza, che ove siano disposte (adottate e attuate) determinate procedure, si ritengono assolti gli obblighi riguardanti la salute e la sicurezza. Altra cosa, tuttavia, è lo svolgimento di attività effettivamente corrispondenti ai dettati delle procedure: tale coincidenza non si verifica mai, come dimostrano biblioteche intere di ricerche sul lavoro (evidentemente ignote al legislatore). Peraltro numerose valutazioni critiche di campo giuslavoristico riguardano principalmente la ridondanza del testo legislativo e la sua tendenza a voler risolvere i problemi della prevenzione tramite procedure e certificazioni. La “Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro” è istituita in base all’art. 6 del d.lgs. 81/2008. E’ composta di rappresentanti di vari Ministeri e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, delle regioni e delle province autonome, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Ha tra i suoi rilevanti compiti: elaborare le procedure di valutazione dei rischi di cui all’art. 29; indicare i modelli di organizzazione e gestione di cui all’art. 30; esaminare l’applicazione della normativa sulla salute e la sicurezza; validare le “buone prassi” in materia; redigere annualmente una relazione sullo stato di applicazione delle norme. Le “buone prassi” sono “soluzioni procedurali” elaborate principalmente dall’ISPELS (confluito nell’INAIL nel 2010), cui si affiancano le “linee guida” per l’applicazione delle norme e in particolare per la valutazione dei rischi, indicate dagli stessi istituti. Si tratta di percorsi standard, che il d.lgs. 81/2008 richiama espressamente all’art. 2, c. 1, lettere v e z, e all’art. 9, c. 2, lettere i e l. Il riconoscimento legislativo, e la fonte istituzionale di tali insiemi di procedure, inducono senza dubbio a ritenere assolti gli obblighi di legge da parte delle imprese che vi fanno riferimento. Ciò, per inciso, rischia di indebolire, se non vanificare, il ricco dibattito sull’interpretazione delle norme che dovrebbero assicurare la tutela della salute e della sicurezza. Tutto è demandato all’adozione di procedure. Ma perfino le procedure possono essere aggirate, o quanto meno liberamente interpretate. E ciò sembra permesso per disposizione legislativa, in quanto in tal senso si possono interpretare i possibili effetti dell’art. 18, c. 1 del d.lgs. 106/2009 che modifica l’art. 28, c. 2 del d.lgs.81/2008. L’art. 28 del decreto 81/2008 prescrive la valutazione dei rischi, e una relazione su tale valutazione in cui devono essere “specificati i criteri adottati”. Quest’obbligo era previsto anche dal d.lgs. 626/94, abrogato dall’attuale “testo unico”, ed era stato interpretato nel senso che si dovesse trattare di “criteri oggettivi”, con particolare riferimento agli orientamenti dell’unità di medicina e igiene del lavoro della Comunità europea: doveva trattarsi in qualche modo di una oggettività scientificamente fondata. Ma il d.lgs. 106/2009 – che modifica quasi ogni articolo del decreto dell’anno precedente nella prevalente se non unica direzione di riduzione delle responsabilità e degli obblighi del datore di lavoro e di attenuazione delle sanzioni previste – recita all’art. 18 che “la scelta dei criteri è rimessa al datore di lavoro”. Ogni oggettività è perduta. Il datore di lavoro è libero di decidere in merito alla valutazione dei rischi che gli compete, attestandone egli stesso la validità. Ci si può chiedere – a fronte delle pratiche prescritte, suggerite, concesse, dal d.lgs. 81/2008 (e successive modificazioni) – quale possa essere il contenuto della relazione annuale della Commissione consultiva permanente sullo “stato di applicazione delle norme”. La Commissione, di cui fanno parte dieci rappresentanti dei lavoratori, prende atto dei vari percorsi procedurali e attesta di avervi contribuito. Ciò appare dalla relazione dell’anno 2012, pubblicata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’11 aprile 2013. La Commissione si è riunita in media ogni quarantacinque giorni, per produrre “procedure standardizzate”, indicare “modelli di gestione”, validare “buone prassi”… In tal senso certifica che sono state applicate (per quanto le compete?) le norme. Nulla dice sull’applicazione delle norme, o delle stesse procedure, nei luoghi di lavoro. E’ arduo sostenere che sia stata così realizzata la tutela della salute e della sicurezza. Gli approcci La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è l’obiettivo del d.lgs. 81/2008: così appare nella sua intitolazione e come afferma nell’art. 1, “in conformità con l’art. 117 della Costituzione” e “nel rispetto delle normative comunitarie”. Una valutazione esauriente dell’adeguatezza del “testo unico” alla realizzazione dell’obiettivo atteso, o almeno per cercare di perseguirlo, deve prendere in esame l’approccio che indica, e la concezione di prevenzione che esso presuppone. In tal modo si può verificare, da un lato, la congruenza delle scelte di proceduralizzazione, e dall’altro lato, se sono rispettate le normative comunitarie, nonché la Costituzione, che all’art. 32 pone la tutela della salute come diritto fondamentale. Le “linee guida” proposte dall’ISPELS e in seguito recepite dall’INAIL rappresentano un indicatore privilegiato dell’approccio indicato dal legislatore. E la loro rilevanza è già stata sottolineata, sia in quanto esse ispirano i vari percorsi procedurali, sia in quanto guidano le prassi effettive (nei casi in cui le imprese non si sottraggono in toto alle prescrizioni). Il documento di base, riguardante la “valutazione per il controllo dei rischi”, elaborato nel 1966 (in seguito alla promulgazione del d.lgs. 626/94) e successivamente aggiornato, esprime nel modo più chiaro come viene intesa la prevenzione. In breve, la valutazione deve preliminarmente identificare i rischi esistenti nelle situazioni di lavoro, per poi procedere alla stima della gravità e della probabilità dei loro effetti, e infine porre in atto le misure per farvi fronte. La prevenzione presupposta riguarda indubitabilmente le conseguenze dei rischi, non la loro insorgenza. E’ la prevenzione che il tradizionale linguaggio biomedico chiama “secondaria”, in quanto rivolta a evitare l’accadimento del danno, o addirittura “terziaria”, se diretta a fronteggiare il danno già riscontrato. Questa concezione di prevenzione non appariva pienamente compatibile con quanto previsto (benché con ambiguità e contraddizioni) dal d.lgs. 626/94, ma è perfettamente adatta all’approccio promosso dal d.lgs. 81/2008. In esso le “misure generali di tutela” (art. 15) iniziano con la valutazione dei rischi, non v’è alcuna traccia di prescrizione di evitare i rischi; la valutazione, poi, è limitata ai “rischi presenti” dall’articolo dedicato alle definizioni (art. 2, q). E la eventuale ricerca di un’idea migliore di prevenzione nella definizione contenuta nell’art. 2, lettera n, no può ignorare che quando il decreto parla di rischi (ad es. agli art. 9, 18, 25, 26, 28, 32, 34, 36, 41, 44) si riferisce solo a “rischi presenti”, o “esistenti”, all’”esposizione ai rischi”, alla “gestione dei rischi”. Ecco l’enunciato chiave: gestione del rischio (risk management). Il d.lgs. 81/2008 non è diretto alla prevenzione dei rischi, ma alla loro gestione. Perciò la scelta della proceduralizzazione è perfettamente congruente. Il d.lgs. 626/94 non faceva cenno alla gestione del rischio. Il mutamento d’approccio operato dal “testo unico” è gravido di conseguenze. E assume una particolare rilevanza per quanto riguarda i cosiddetti “rischi psicosociali”, tra cui emblematico è il rischio di stress. Il riferimento esplicito allo stress da parte del legislatore del 2008 (art. 28, c. 1) è stato accolto positivamente e anche con enfasi da molte parti, senza osservare che il termine usato è linguisticamente insostenibile e privo di significato specifico. Ma soprattutto non si riflette su ciò che la gestione dei “rischi psicosociali” implica. Il termine (che è sembrato innovativo, e quindi si è largamente e acriticamente diffuso) è “stress lavoro-correlato”. Il legislatore è stato probabilmente influenzato dalla distinzione tra “affezioni correlate con il lavoro” (da work related diseases) e le tradizionalmente trattate affezioni derivanti da agenti fisici e chimici (occupational diseases): una proposta avanzata negli anni 1980 dall’allora direttore della Clinica del lavoro dell’Università di Milano, e ripresa nell’ambito della disciplina, nel lodevole intento di contrastare l’uso di “affezioni (e danni, e rischi) psicosociali”. Da un lato, l’enunciato “stress lavoro-correlato” in italiano corretto non regge, e d’altro lato non ha alcun senso particolare, poiché si sta parlando di stress nel lavoro. Queste osservazioni non sono irrilevanti: pongono in evidenza la scarsa considerazione, da parte del legislatore del 2008, delle conseguenze che derivano da un riferimento approssimativo a un tema importante e complesso. Non si può parlare genericamente di “rischi collegati allo stress”, e demandare a procedure la loro identificazione e valutazione. Lo stress non è un “danno”, è una sindrome psico-neuro-endocrina complessa che può essere attivata da stimoli della più varia natura, e che può avere le più varie ripercussioni nell’organismo. Il rapporto tra stimolo e stress, e tra stress ed esiti patologici è un rapporto di possibilità, non di probabilità come la medicina è solita attribuire (peraltro discutibilmente) ai nessi tra agenti fisici o chimici e loro esiti. Ciò che può attivare la sindrome di stress va identificato nella configurazione della situazione di lavoro. Si è diffusa invece l’interpretazione dello stress come “squilibrio tra la percezione che una persona ha delle costrizioni impostegli dal suo ambiente e la percezione che essa ha delle risorse di cui dispone per fronteggiarle”. Questa definizione si trova nelle “linee guida” dell’ISPELS, in conformità con l’Accordo Europeo del 2004 sullo stress al lavoro. L’approccio indicato è la “gestione” di tale rischio “psicosociale” secondo gli standard proposti da Health and Safety Executive, istituzione del Regno Unito per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Le “linee guida” (in Italia e negli altri paesi europei) ostentano l’appoggio di una “vasta produzione scientifica”, ma in realtà hanno un unico e identico riferimento: una definizione psicologica dello stress come derivante da una “valutazione cognitiva” del soggetto coinvolto. Il che, per conseguenza, implica la “gestione del rischio” in capo al soggetto stesso. Tutti i rischi vanno indagati alla fonte, cioè nella configurazione della situazione di lavoro, per poterli prevenire. Ma ciò assume particolare importanza per l’assurda categoria dei “rischi psicosociali”. La proposta di tale categoria residuale di rischi (ormai condivisa dalle discipline, dalle istituzioni, dalle norme di legge) non è altro che il risultato di un’incapacità di interpretare i nessi tra condizioni della situazione di lavoro e ricadute sulla salute dei lavoratori che non sono riconducibili a una semplice spiegazione di rapporti di causa-effetto, propria dell’interpretazione tradizionale – orientata da criteri di predeterminazione tecnica ed economica – dei danni di origine fisica o chimica. Le conseguenze sono gravi: invece di analizzare le scelte di progettazione e strutturazione della situazione di lavoro che sono all’origine dei rischi, l’approccio alla “gestione” sposta l’attenzione sui rischi già presenti ove si tratti di agenti nocivi fisici o chimici, e direttamente sui lavoratori nel caso di rischi (denominati per insipienza) “psicosociali”. I risultati, evidenti, sono la permanenza di tassi intollerabili di infortuni e l’aumento delle malattie professionali, le politiche di assistenza dei soggetti di fronte ai rischi, le pratiche di wellness, con cui si cerca di curare i lavoratori, o più semplicemente di aiutarli a fronteggiare situazioni di lavoro che non si sa – o non si vuole – modificare. Il “vero paziente” Il “vero paziente” è il lavoro, come ha indicato Luigi Devoto il 20 novembre 1902, nell’atto costitutivo della medicina del lavoro come disciplina autonoma. E quindi la prevenzione – nel suo senso compiuto – deve essere perseguita nel lavoro: prevenire i rischi significa evitare che si manifestino, combatterli alla fonte, nelle scelte che configurano le situazioni di lavoro. Ricusare ciò significa anzitutto discostarsi dal senso comune, per il quale ogni sorta di rischio in una situazione di lavoro non può aver origine che dalle scelte che la progettano e la pongono in essere. Significa inoltre disattendere le prescrizioni della direttiva del Consiglio europeo adottata il 12 giugno 1989 per promuovere la salute e la sicurezza nel lavoro, e indirizzata agli Stati membri affinché fosse recepita nei rispettivi ordinamenti e attuata. La direttiva 89/391/CEE, detta “direttiva quadro”, prescrive la prevenzione intesa come primaria, cioè rivolta a evitare i rischi e a combatterli alla radice, prima che si manifestino nei luoghi di lavoro; generale, cioè riguardante l’intera situazione di lavoro; programmata, cioè concepita anticipatamente e in termini generali; integrata nella concezione delle situazioni di lavoro. Tale indirizzo implica un obbligo di analisi del lavoro, una valutazione generale ed esaustiva, con il pieno coinvolgimento dei lavoratori, fondata oggettivamente su criteri documentati, di forma iterativa, rivolta al miglioramento continuo delle condizioni di lavoro. Queste prescrizioni erano state recepite, anche se non integralmente e correttamente, dal d.lgs. 626/94, che ha trasposto (in ritardo) la direttiva europea nell’ordinamento italiano, ma sono totalmente disattese dal d.lgs. 81/2008 attualmente in vigore. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea già aveva condannato l’Italia per alcuni scostamenti del d.lgs. 626/94 dalla direttiva comunitaria (C.G.U.E., sez. V, 15 novembre 2001, c. 49/00). Attualmente, l’Italia rischia un nuovo deferimento alla Corte di Giustizia, in seguito a una procedura di infrazione (n. 2010/4227) avviata dalla Commissione europea nel 2010, in particolare per violazione della direttiva per quanto riguarda la responsabilità del datore di lavoro in caso di delega e subdelega di alcuni dei suoi obblighi concernenti la salute e la sicurezza, e i termini impartiti per la redazione dei documenti concernenti la valutazione dei rischi per una nuova impresa o per modifiche sostanziali apportate in un’impresa esistente. Va notato, tuttavia, che tale procedura di infrazione è stata stimolata da una iniziativa autonoma e individuale – lodevolissima – di un operaio metalmeccanico fiorentino (Marco Bazzoni), rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, e che riguarda solo punti specifici della normativa in vigore. Ci si può chiedere perché non vi sia stata sinora alcuna iniziativa istituzionale, anzitutto da parte del sindacato, e riguardante l’impianto generale del d.lgs. 81/2008. In sintesi L’incidenza degli infortuni sul lavoro, in particolare gli incidenti mortali, non è diminuita negli ultimi anni, come apparirebbe dai dati dell’INAIL, che si riferiscono unicamente agli incidenti dichiarati e concernenti i lavoratori iscritti per l’assicurazione obbligatoria a questo istituto. Occorre tener conto del calo costante dell’occupazione, e dell’aumento abnorme della cassa integrazione, cioè della rilevante diminuzione delle ore lavorate, e quindi dell’effettiva esposizione ai rischi. Occorre poi tener conto del lavoro irregolare, del lavoro “in nero” di quote consistenti di lavoratori dipendenti, di pensionati, di immigrati con permesso di soggiorno, nonché del lavoro degli immigrati irregolari. Non si può affermare che l’incidenza degli infortuni sul lavoro si sia ridotta, assai probabilmente si è invece accresciuta. Come si è accresciuta l’incidenza delle malattie professionali. Ci si deve allora chiedere perché la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro non migliora, ma semmai peggiora. Per quanto riguarda le pratiche correnti si può anzitutto osservare che le imprese tendono a sfuggire agli obblighi di legge, delocalizzando attività gravose e maggiormente esposte a rischi, preferendo pagare le ammende piuttosto che rispettare i dettati normativi, fidando nella scarsissima probabilità di controlli ispettivi. Le stesse norme vigenti, peraltro, concedono alle imprese ampie discrezionalità nella tutela della salute e della sicurezza, prevedendo procedure di vario genere, in particolare le procedure di valutazione dei rischi contenute nelle “linee guida” elaborate dall’ISPELS e riprese dall’INAIL, che, se adottate, assolvono dagli obblighi prescritti. A ciò si aggiunge la possibilità per il datore di lavoro di scegliere i criteri per la valutazione dei rischi, una scelta autonoma che può incidere sulla stessa attuazione delle procedure e tradursi in una sorta di autocertificazione. Le pratiche basate sulla proceduralizzazione sono peraltro congruenti con l’approccio espressamente indicato dalle norme vigenti. Si tratta di un indirizzo volto, nel migliore dei casi, alle conseguenze dei rischi, non a evitare che vengano in essere nella situazione di lavoro. Ciò appare con piena evidenza nelle “linee guida”, e ancor prima nel testo del d.lgs. 81/2008, che fa riferimento esclusivamente a rischi esistenti, e alla “gestione dei rischi”. In realtà le norme vigenti non sono dirette alla prevenzione dei rischi, ma alla loro gestione. Le gravi conseguenze che ne derivano hanno particolare importanza per quanto riguarda i cosiddetti “rischi psicosociali”. Invece di ricercare l’origine dei rischi nelle scelte di progettazione e strutturazione della situazione di lavoro che li possono attivare, l’approccio alla “gestione” sposta l’attenzione sui rischi già presenti ove si tratti di agenti nocivi fisici o chimici, e direttamente sui lavoratori nel caso di rischi assurdamente denominati “psicosociali”. Il caso dello stress al lavoro è il più significativo e rilevante. La prevenzione – nel suo senso compiuto – deve essere perseguita nel lavoro, nelle scelte di progettazione e configurazione delle situazioni di lavoro. Ciò è quanto suggerisce il senso comune, e quanto ha prescritto la direttiva del Consiglio europeo adottata il 12 giugno 1989 per promuovere la salute e la sicurezza nel lavoro. Essa, imprecisamente recepita dal d.lgs. 626/94, appare totalmente disattesa dal d.lgs. 81/2008. Il “testo unico” ora vigente non promuove, di fatto, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. C’è da dubitare che rispetti il dettato costituzionale. E di fronte all’inadeguatezza delle norme, alle pratiche elusive delle imprese, alle pratiche raccomandate che allontanano da una reale prevenzione, ai morti e agli infortunati quotidiani, si assiste a un pervasivo immobilismo.

9 commenti:

  1. Caro Carlo, premetto che apprezzo molto il tuo lavoro con il blog.
    Non comprendo tuttavia la critica al fatto di fare seminari e incontri.
    Il Seminario di ieri era di alto livello e ha individuato criticità e problematiche che sono il "nocciolo" duro di molti problemi da risolvere.
    Come dire, oltre alla denuncia sacrosanta della pericolosità di molti luoghi di lavoro occorre anche ricercare soluzioni .....
    Denunciare va bene ma occorre anche fare in modo che non ci siano morti e feriti gravi sul lavoro ed un dilagare di malattie professionali invalidanti.Il seminario di ieri era aperto tutti...
    Un caro saluto da
    Gino Rubini, editor di www.diarioprevenzione.it

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  2. Mi dispiace ma anche voi siete una casta....l'Osservatorio è attivo dal 1à gennaio 2008 e se lo guarda può vedere che è diventato punto di riferimento nazionale conoltre 700.000 contattii. Prendete sempre per buoni i dati dell'INAIL che sono parziali e non tenete conto di realtà come la nostra che tra l'altro propone anche soluzioni. Le Istituzioni locali e nazionali nonostante siano "bombardate" per queste sequenze terribili di morti non fanno niente di concreto e sono capace di fare solo seminari e corsi che servano solo per chi li organizza buttando via il denaro pubblico. Mi dispiace ma sono(siamo) molto arrabbiati.

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  4. Caro rubini, purtroppo anche il Sindacato si presta a questa visione della realtà, La Regione Emilia Romagna è sempre ai vertici di questa triste classifica nonostante l'Osservatorio ha mandato centinaia di mail nel corso di questi anni dicendo che la situazione è drammatica e sui LUOGHI DI LAVORO è sempre ai vertici negli infortuni mortali. Solo la FILLEA nazionale s'interessa e utilizza i nostri dati che sa che sono più veritieri di quelli dell'NAIL che monitora solo i propri assicurati. Nessuno dei vari assessorati della regione si è degnato di rispondere o di contestare i dati....Poi ci si meraviglia quando i cittadini non vanno a votare e contestano questa politica. E lo dico da iscritto alla CGIL, ma che delusione.....

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  5. "Anche voi siete una casta...." Ma se lo sono è a mia insaputa.Caro Carlo il sindacato è responsabile della sua debolezza. Purtroppo di Convegni seri se ne fanno pochi.Se permetti l'ultimo Seminario era a partecipazione volontaria e non è costato nulla all'erario. In secondo luogo non riesco a vedere nel tuo Osservatorio, oltre alle meritevole opera di denuncia e di protesta, nessuna proposta, mi spiace dirtelo ma quando critichiamo dobbiamo anche accettare le critiche.... Con rispetto e stima Gino

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  6. E' una grande vergogna quello che scrivi,l'Osservatorio ha fatto decine di proposte e questo vuol dire che alla fine non hai mai letto quello che viene scritto sul blof e su Facebook, come sarebbe di tuo dovere visto che sei un sindacalista che si occupa di questo specifico problema. Le proposte si soluzione sono sui tutti i comparti...ma probabilmente hai da fare cose più importanti come quelle di organizzare seminari, senza mai andare avedere cosa c'è fuori dal tuocontesto...certo che è più gratificante parlare e coinvolgere professeroni, medici ecc....che guardare quello che scrivono dei volontari...Tra l'altro l'Osservatorio è stao visitato già da oltre 700.000 visitatori, è diventato punto di riferimento nazionale sul problema morti sul lavoro e quasitutti i giornisiamo contatattati da giornali, televisoni, radio e giornalisti importanti se ne sono occupati...Come Ilvo diamanti, Cesare Fiumi, Oliviero Bea e potrei continuare .......Ma come dicevoè più gratificante parlare e dialogare con la classe dirigente è molto più gratificante. Girerò questa scritto a Camusso e alla direzione a Roma. Voglio vedere cosa mi scrivono. certo che se questa è la posizione e quello che pensate uscirò sicuramente dalla CGIL

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  7. Carissimo Carlo, io mi fermò qui, io non sono la Cgil, sono un pensionato che nella sua vita lavorativa si è impegnato sulla sicurezza sul lavoro. La qualità del mio lavoro l'hanno giudicata i lavoratori. Il mio lavoro di formatore, di editor del sito diario prevenzione sono la mia carta da visita.
    Non ritiro la mia critica, credo, valga per tutti, oltre alla denuncia occorre lavorare per le soluzioni dei problemi.
    le critiche non sono insulti ma un contributo per migliorare.
    Un caro saluto
    Gino

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  8. Va bene chiudo qui,ma è incredibile che dici che l'Osservatorio non fa e non ha fatto proposte...vuol dire che non hai mai letto i post scritti in questi anni e se ti occupi di sicurezza sul lavoro dovresti farlo..Io lavoro in stretta collaborazione con la FILLEA Nazionale che hanno capito la serietà del lavoro e dell'impegno tutto fatto da volontari, con statistiche e analisi molto meglio di quelle "ufficiali"...Se poi non si vuol vedere il lavoro svolto questo è un altra cosa...Ma certo che mi sento offeso delle posizioni come la tua... e anch'io mantengo le mie posizioni...E' più gratificante organizzare convegni coi professoroni, mediconi ecc....E' così si comporta anche la Regione Emilia Romagna che dovrebbe preoccuparsi dei capannoni industriali che sono quasi tutti a rischio crollo in caso di terremoto come ho detto all'Espresso... (e che se hai guardato Facebook dovresti aver letto)e della vergogna di essere sempre tra le regioni con più morti sul lavoro,e anche qui ci sono delle proposte serie...che non dovrei fare io, ma voi in prima istanza. Non è detto che a breve, non mi rivolgo alle autorità competenti, come in parte ho già fatto...Del resto l'indifferenza di certe posizioni si vedono anche da come sono condotte le cose......Ma qui sono in gioco la vita di migliaia di lavoratori in tutto il paese ed è impossibile stare zitti e far finta di niente. Del resto le mail le hanno ricevute tutti....Istituzioni locali e Nazionali e ognuno deve prendersi le sue responsabilità

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Carlo Soricelli intervistato dalla trasmissione num3ri su Rai2


Una poesia in memoria dei sette lavoratori della Thyssenkrupp
morti nel 2007 a Torino scritta due giorni questa tragedia

Il cuore rimasto in Fabbrica
anche adesso che ho raggiunto la pensione
Sognavamo il cielo ma da decenni è sempre più lontano
Il silenzio e la solitudine circondano la mia Fabbrica
e tutte le fabbriche d'Italia
La classe operaia non è più centrale
e il paradiso è diventato inferno
di fiamme di fuoco e d'olio bruciato
di operai sfiniti che fanno notizia solo quando diventano torce umane
Operai sfruttati come non è successo mai
Il silenzio e la solitudine circondano la mia Fabbrica
e tutte le fabbriche d'Italia
Anche il nostro bravo Presidente
urla instancabile le morti sul lavoro
ma anche le sue sono urla impotenti
Addio Compagni di fatica, di sogni e d'ideali
Bagnati dalle nostre lacrime riposate in pace.

via delle storie, l'intervista che mi fece questa primavera la redazione RAI di Via delle Storie, al

https://youtu.be/9cJbdjQQ7YQhttps://www.raiplay.it/video/2022/05/Via-Delle-Storie-Carlo-Soricelli-l-artista-delle-morti-infinite-sul-lavoro-0cd0bfa2-df0a-4fbc-b70a-3bdba7d7ca51.html

Le verità scomode sulle morti per infortunio sul lavoro

Le verità scomode sulle morti per infortunio sul lavoro

Anche tu, indipendentemente dal lavoro che svolgi corri seri pericoli

1) Da quando il 1° gennaio 2008 è stato aperto l’Osservatorio Indipendente di Bologna le morti per infortunio sul lavoro non sono mai calate se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro e non solo gli assicurati INAIL, istituto che monitora solo i propri assicurati

2) In base a questi presunti cali inesistenti e diffusi dalla stampa, dal potere politico e economico in Parlamento si sono fatte leggi per alleggerire le normative sulla sicurezza

3) Almeno un terzo dei morti sul lavoro sfuggono a qualsiasi statistica

4) In questi dieci anni sono morti per infortunio sul lavoro oltre 13.000 lavoratori se si prendono in considerazione tutti, comprensivi dei morti sulle strade e in itinere

5) Ogni anno oltre la metà dei morti sul lavoro sono sulle strade e in itinere (itinere significa mentre si va e si torna dal lavoro). La mancata conoscenza delle normative specifiche sull’itinere è spesso una trappola che impedisce il riconoscimento dell’infortunio, anche mortale e questo vale per tutti i lavoratori indipendentemente il lavoro che svolgono. Tutti si spostano da casa verso e al ritorno dal lavoro

6) Sui luoghi di lavoro in questi dieci anni sono morti oltre 7000 lavoratori (esclusi i morti sulle strade e in itinere)

7) Le donne muoiono relativamente poco sui luoghi di lavoro, ma tantissime perdono la vita in itinere. Sono dovute alla stanchezza per il doppio lavoro che svolgono tra casa e lavoro che ne riduce la prontezza dei riflessi

8) Oltre il 30% dei morti sui luoghi di lavoro ha più di 60 anni

9) La Legge Fornero ha fatto aumentare le morti sul lavoro tra gli ultra sessantenni che non hanno più i riflessi pronti e buona salute per svolgere lavori pericolosi.

10) Il jobs act che ha abolito di fatto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori fa aumentare le morti sul lavoro per l’impossibilità di rifiutarsi di svolgere lavori pericolosi. Prova ne è che la stragrande maggioranza di chi muore per infortunio lavora in aziende che non hanno la copertura dell’articolo 18, di rappresentanza sindacale e di un responsabile della Sicurezza. L’articolo 18 abolito dal jobs acts recitava che non si può licenziare senza Giusta Causa e Giustificato Motivo.

11) Moltissime sono le morti tra artigiani e partite iva individuali e in nero e grigio.

12) E’ l’agricoltura la categoria più a rischio: mediamente supera ogni anno il 30% delle morti sui luoghi di lavoro di tutte le categorie e tra gli agricoltori

13) Un morto si cinque sui luoghi di lavoro ogni anno è provocato dal trattore, ne sono morti in questi dieci anni almeno 1000 mentre guidavano questo mezzo, oltre 400 sono i morti accertati dall’Osservatorio provocati dal ribaltamento del trattore in questi ultimi tre anni.

14) L’edilizia ha mediamente il 20% di tutte le morti sui luoghi di lavoro. Le cadute dall’alto sono un’autentica piaga in questa categorie. In tanti muoiono lavorando in nero in edilizia e in aziende del subappalto.

15) In questi dieci anni non si è fatto niente per arginare questa piaga, il Parlamento ha ignorato le morti di tanti lavoratori e questo per il semplice fatto che il lavoro dipendente e gli artigiani non hanno nessuna rappresentanza di fatto nelle due Camere.

16) Se non vuoi morire lavorando occupati in prima persona della tua sicurezza personale e rifiutati di svolgere lavori pericolosi e denuncia chi ti obbliga a farlo, e se non ne hai la forza di opporti lascia una memoria scritta ai tuoi familiari che potranno un domani denunciare queste autentiche violenze.

L'Osservatorio a Storie Vere di RAI 1

Quando il lavoro uccide?