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giovedì 18 giugno 2009
FINALMENTE SI COMINCIA A SQUARCIARE IL VELO D'OMERTA' SULLE MORTI BIANCHE
Infortuni stradali. L’altra metà delle morti bianche
di Pietro Marmo (marblestone)
postato alle 15:05 del 17 giugno 2008 in Economia Torna alla home
La silenziosa guerra delle morti sul lavoro si combatte non solo nei cantieri, ma anche nelle strade. Non ne parla nessuno, ma metà delle morti sul lavoro avviene al volante della propria auto o del proprio camion. La sicurezza sul lavoro passa anche per i controlli sulle strade.
La tragedia di Mineo ha dato vita ad un copione a cui siamo tremendamente abituati negli ultimi anni: giornalisti che intervistano vedove che piangono, analisti che descrivono le morti bianche in termini di guerre e cataclismi, alte cariche istituzionali che promettono che non si ripeterà più (questa volta è toccato a Napolitano, la volta scorsa a Prodi), sindacati che urlano scandalizzati (che il paese si ribelli ha tuonato Bonanni) solenni funerali; poi inevitabilmente qualche altro giorno con il morto di turno a cui sono dedicati trafiletti sempre più piccoli fino alla prossima strage.
CHI MUORE SUL LAVORO ? – In questo copione la morte bianca è descritta sempre come figlia della mancata osservanza delle norme, dalla precarietà del lavoro, dalla rapacità di imprenditori che pur di risparmiare mettono a repentaglio la vita dei loro dipendenti. A volere esaminare il gravissimo fenomeno con gli occhi delle statistiche INAIL la faccenda è completamente diversa. Innanzitutto per le forme contrattuali: dei 1205 morti registrati nel 2006 nell’industria e nei servizi 11 erano interinali, 22 parasubordinati e 31 apprendisti per un totale che ammonta a poco più del 5 per cento. Un altro 15 per cento è classificato come autonomi mentre l’80 per cento è rappresentato da normali dipendenti, con contratto a tempo indeterminato. Quindi ancora una volta si conferma che le morti bianche non sono legate al precariato o a forme di sfruttamento forsennato del lavoro tant’è che c’è un altro dato impressionante: il fenomeno delle morti bianche è prettamente maschile: 92,6 per cento contro il 7,4 per cento delle donne. Vero è che in Italia secondo l’ISTAT le donne occupate sono meno degli uomini ma comunque rappresentano il 39 per cento della forza lavoro e si sa che da sempre sono quelle caratterizzate da maggiore sfruttamento e precarietà. Per capire meglio le cause di questo fenomeno è bene considerare le categorie che sono maggiormente esposte agli infortuni mortali: al primo posto, nell’industria e servizi, ritroviamo l’immagini di impalcature e di elmetti mai messi. Il settore costruzioni da solo è responsabile del 27 per cento delle morti bianche. Dopo però ci sono categorie molto più tranquille: trasporti e comunicazioni, commercio e addirittura attività immobiliari e servizi all’impresa. Questi tre settori, dove è difficile immaginare macchine utensili impazzite o carichi che precipitano, da soli sono responsabili del 31 per cento dei decessi.
GLI INFORTUNI STRADALI – Il motivo però non è così misterioso: la metà di tutte le morti bianche (688 su 1344) sono da attribuirsi ai cosiddetti infortuni stradali, quelli che comunemente si chiamano incidenti stradali. Agenti di commercio, camionisti o autisti, passano molta della loro vita sulla strada e, percentualmente, sono più esposti ai rischi di chiunque altro. Eppure non c’è un telegiornale che ne parla, non c’è un solo trafiletto che dice, quando vi è un incidente stradale, che le vittime erano gente che stava sulla strada per lavoro o, in quasi metà dei casi a lavoro ci stava andando o tornando. Tutti questi incidenti sono classificati, giustamente, come infortuni sul lavoro ma la loro soluzione non sta in decreti che includano pene più severe con gli imprenditori, in forme di contratto meno precarie o ribellioni sindacali non si sa contro cosa. La loro riduzione passa invece attraverso l’installazione dei Safety tutor che dimezzano i morti sulle autostrade, sui t-red che multano chiunque passi con il rosso falcidiando pedoni e motociclisti, sul potenziamento di vigili e polizia stradale che hanno un notevole potere deterrente. Che non si sia fatto nulla in questo senso lo dimostrano anche le serie storiche che dicono che, a fronte di una sostanziale tenuta del numero dei decessi negli ultimi dieci anni, quelli in itinere (percorso da e verso il lavoro), sono più che raddoppiati. E nel frattempo, i miseri 53 milioni annui stanziati dal Governo Prodi e previsti per tre Finanziarie sono stati ridotti di un terzo con un taglio di 17,5 milioni, per trovare le risorse per l’abolizione dell’ICI. Il governo Berlusconi del 2008 conferma quanto fatto dai Governi Berlusconi del passato, che avevano addirittura azzerati i fondi nelle finanziarie 2004, 2005 e 2006. L’Italia vanta così la spesa pro-capite più bassa d’Europa in questo settore, meno di un euro all’anno (contro gli oltre 25 della Svizzera, i 23 della Francia, 12 di Cipro, 10 del Belgio e 5 dell’Inghilterra).
THE QUESTION - Il problema è che le misure per la sicurezza stradale non sono nè di destra nè di sinistra. Ma sono altamente impopolari, non favoriscono il ruolo dei sindacati né fanno, sostanzialmente, notizia per cui difficilmente entreranno in un programma politico, nel discorso di un presidente o in qualche strategia a tolleranza zero. Più conveniente dedicarsi all’altra metà degli infortuni, chiedendo provvedimenti eclatanti e pene esemplari. Ma anche in questo caso, con scarsità endemica di controlli.
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