l 9 ottobre si è celebrata quasi sotto silenzio la 61° giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. L’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro) ha dato il via alle celebrazioni con una messa solenne in memoria dei Caduti sul Lavoro.
Di recente si è celebrata un’altra messa solenne per celebrare qualcuno che è morto mentre si dedicava a una sua grande passione, mentre “lavorava”: Marco Simoncelli. Giovanissimo, con capelli ingarbugliati, pieno di entusiasmo, simpatia, freschezza. 24 anni sono pochi per morire lavorando, anche se è stata una sua la scelta correre in pista a 300 Km orari.
Entrambe le messe non danno una risposta a questi dati: secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro [http://cadutisullavoro.blogspot.com/], dall’inizio dell’anno ci sono stati 547 morti sui luoghi di lavoro. Erano 485 il 30 ottobre del 2010, l’aumento quest’anno è dell’11,4%.
Sempre secondo l’Osservatorio, se venissero tenuti in conto anche i lavoratori deceduti a causa di incidenti stradali avvenuti mentre si recavano a lavoro o durante le trasferte, il numero delle vittime salirebbe a 950. La nostra prospettiva sul lavoro è talvolta offuscata da un pregiudizio: sovrastimiamo la cultura, gli intellettuali, gli eroi dello sport e dello spettacolo.
“Si vive di più andando 5 minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera“, aveva detto in una intervista Marco Simoncelli. Continuiamo, invece, a sottostimare il contributo sociale delle persone più deboli, dei non istruiti, di quelli che ogni giorno lavorano con fatica contribuendo al benessere della Nazione. Il lavoro dei “brutti”.
Marco Simoncelli apparteneva alla categoria dei “belli”: quando sfrecciava sulla sua moto suscitava emozioni, creava mondi immaginari. Ma non è sui Simoncelli che poggia il benessere del Paese. L’economia gira grazie ai milioni di persone che ogni mattina si alzano e vanno a lavorare sporcandosi le mani.
Di questi, quando muoiono, non parla nessuno: che fine hanno fatto, ad esempio, i processi per i morti alla Saras di Sarroch in Sardegna? [Un'altra vittima e altri due feriti alla Saras dei Moratti]. Purtroppo ci sono altri giovani e anziani che muoiono nelle fabbriche, nei cantieri, sui campi che non hanno avuto neppure la possibilità di scegliere di fare un lavoro che a loro piaceva. Se ne vanno nell’indifferenza generale.
Sono i “piccoli”, quelli che ogni giorno si trovano immersi nei contesti concorrenziali, quelli che non sono garanti nel loro lavoro da un ordine professionale, da un monopolio, dalla natura del proprio contratto, a portare sul di sé la responsabilità di assolvere ai propri doveri, facendo notevoli sforzi lavorativi e contribuendo al benessere della collettività.
Non c’è una gerarchia dei lavori. Tutti i lavori sono importanti. Quello di Simoncelli quanto quello degli operai morti a Cagliari. Gli utili lavorano e, se muoiono, non fanno clamore. Sono loro i pilastri su cui poggia il sistema-Paese, il sostegno della Repubblica fondata sul lavoro (utile). Avevi mai pensato di dividere il mondo in belli e utili?
Tags: belli, lavoro. utili, Saras, Sarroch, Simoncelli
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