Gli infortuni sul lavoro non accadono mai per fatalità. Anche se un masso si stacca dalla galleria in cui stai lavorando e ti schiaccia, il destino non c’entra nulla. Il 21 gennaio scorso, l’operaio Costanzo Palmo è morto in una galleria nel cantiere di Pedelombarda a Lozza perché in quel momento non doveva essere lì, in quanto non c’erano le condizioni per lavorare in sicurezza. Da che mondo e mondo piovono pietre sulle teste degli operai, ma la morte di Costanzo si poteva evitare. Il giorno prima, altri due lavoratori erano stati sfiorati da una masso in caduta. E il fatto che non siano morti e sì da considerare una fatalità.
La Fillea-Cgil ha deciso di costituirsi parte civile al processo per la morte dell'operaio per evitare che la responsabilità ricada sull’ultima ruota del carro. È la seconda volta in 13 anni che accade in provincia di Varese. La prima costituzione di parte civile fu per la morte del rumeno Ion Cazacu, bruciato vivo dal suo datore di lavoro perché chiedeva migliori condizioni.
La conta dei morti sul lavoro nell'ultimo anno dice che quattro vite sono state sacrificate sull'altare del mancato rispetto delle norme del testo unico sulla sicurezza del 2008. «I quattro morti – spiega Flavio Nossa, della Fillea Cgil – lavoravano per aziende che non avevano un rappresentante della sicurezza (rls ndr) previsto dalla legge. Troppo spesso mi sento dire dai lavoratori: “voi sindacalisti avete ragione, ma io rischio il posto di lavoro e tengo famiglia”. Se scatta questo meccanismo non ne usciamo più».
Il sindacalista è furibondo. Per lui ogni morto è un arretramento secco nella trincea dei diritti: ciò che si è conquistato in tanti anni di lotte, presidi, picchetti e manifestazioni viene rimesso in discussione da una realtà desolante. «Per ben tre volte - racconta Nossa - abbiamo convocato le assemblee per l'elezione della rls nel cantiere della Pedelombarda dove è morto Costanzo e per tre volte sono andate deserte. È un brutto segnale. Abbiamo anche contestato all'impresa una finta elezione, che è poi una pratica quotidiana in molti cantieri».
La consapevolezza dei lavoratori non c’entra nulla. Costanzo era un lavoratore esperto, era iscritto al sindacato e conosceva i suoi diritti. La Cgil però denuncia un clima diventato insopportabile in molti cantieri a causa della crisi che nell’edilizia è resa ancor più pesante dalle infiltrazioni della criminalità organizzata, ‘ndrangheta in testa. «Quando il sindacato nel 2008 - spiega Nossa - è stato costretto a firmare un protocollo in cui chiedeva che vi fosse oltre alla nostra presenza anche quella permanente della Guardia di Finanza la dice lunga sul contesto in cui si opera e il rischio che si corre, cioè un cantiere dove in passato sei aziende sono state allontanate e una non è nemmeno entrata».
In questo clima i lavoratori sono sempre più fragili sul piano della rivendicazione dei diritti. Non servono molte parole o intimidazioni esplicite perché di questi tempi c'è una paura più subdola, la paura di perdere il posto di lavoro. Una paura così forte che sfida anche il timore di una pioggia mortale di pietre. Allora meglio stare zitti e lavorare.
Quando si parla di infortuni sul lavoro è sempre l'edilizia a pagare il dazio più alto in termini di gravità: su 402 infortuni (denunciati dal 1 ottobre 2011 al 31 agosto 2012) nel 6,56% si tratta di lesioni gravi, contro una media del 3% del settore metalmeccanico. Una casistica degna di un film dell'orrore: si cade dall'alto, si muore schiacciati dai pesi, soffocati negli scavi o fulminati mentre si lavora su una betoniera con una messa a terra inesistente. Salvatore Minardi, responsabile del dipartimento sicurezza della Cgil, ha elaborato un grafico dove si evidenzia che, nonostante il calo degli addetti nell’edilizia, il rapporto tra le ore di infortunio e le ore lavorate rimane costante. Quindi il rischio infortunistico nel settore è rimasto molto alto. «Nei periodi di crisi – sottolinea l'avvocato Marzia Giovannini, che rappresenterà il sindacato in giudizio - c'è una minore attenzione dei datori di lavoro perché i presidi contro gli infortuni vengono percepiti come un costo. Ma la cosa che colpisce è l’assenza del rappresentante per la sicurezza, sintomo della mancanza di cultura contro gli infortuni».
La Fillea chiede la presenza dell'asl nel cantiere e un tavolo di coordinamento con i tecnici e le parti sociali. Per Vincenzo Annesi che segue il cantiere di Lozza ce n’è bisogno come il pane. «Sappiamo - dice il sindacalista - che l’asl ha problemi di risorse, di organico, di tempi in un territorio con una densità aziendale molto marcata. Ma sono gli stessi operai che ci chiedono dov’è l’asl e soprattutto dove sono i controlli».
La galleria dove è morto Costanzo è stata posta sotto sequestro dalla magistratura e l’impresa Europa92 ha già avviato la richiesta di cassa integrazione dal 28 gennaio al 28 aprile e se il cantiere non verra dissequestrato 30 lavoratori a termine, su un totale di 64, verranno licenziati, mentre gli altri lavoreranno per la messa in sicurezza dell’opera.
I sindacati giovedì 21 gennaio incontreranno a Turate (dove c’è il cantiere principale) i vertici di Pedelombarda e Pedemontana per capire se ci sarà la copertura finanziaria per il proseguimento dei lavori. Nel frattempo i compagni di lavoro di Costanzo Palmo hanno organizzato una raccolta di fondi da destinare alla famiglia: chi vorrà, potrà devolvere l’importo di una giornata di lavoro, in attesa che arrivino anche i soldi dell’Inail.
20/02/2013
Michele Mancino @micmanciomichele.mancino@varesenews.it
Condivido inpeino quello che c'è scritto. la carenze più gravi come scrive il sindacalista della FILLEA sono dovute alla mancanza di un rappresentante della Sicurezza nei cantieri. Dov'è presente ed è stato eletto democraticamente dai lavoratori i morti sul lavoro sono quasi inesistenti. Carlo Soricelli
Nessun commento:
Posta un commento