Flavio Insinna recita Carlo Soricelli
Pubblicato il 23 apr 2013 da Daniela Silenziario www.sail626.it
Se la morte è sempre nera, perché quella dei lavoratori diventa bianca?
Il bianco, il colore della purezza e del candore, colore dell’innocenza, del pulito, spesso attribuito ai piccoli della nostra società o alle “candide” spose…
Il bianco, però, è anche colore facilmente “camuffabile” infatti è sufficiente mescolarlo con qualunque altro affinché ogni sua traccia venga cancellata via.
Il significato di MORTE BIANCA nella lingua italiana ha assunto principalmente due significati: la morte bianca è la morte che di notte sopraggiunge inaspettata nel corpo di un neonato in culla. E’ una morte atroce e silenziosa, in quanto provocata dal soffocamento; è una morte che non lascia segni e che non permette di individuare il responsabile dell’accaduto, se non nel triste ed avverso fato. Di morte bianca e di triste ed avverso destino se ne parla anche quando c’è un morto sul lavoro. Il BIANCO: il colore del lenzuolo che copre il corpo freddo di un morto sul lavoro provocato da una caduta dall’alto di un ponteggio, dal ribaltamento di un trattore, dallo scoppio di una bombola di ossigeno, dall’asfissia da gas tossici, da un incidente stradale … queste tutte cause di morte che hanno come unico responsabile il destino, il triste ed avverso destino. Davanti alla morte si alzano le braccia e gli occhi al cielo, si invoca un Dio che non ci ha protetti, che non c’è; si prega un Dio affinché il caro, improvvisamente estinto, possa avere un posto in paradiso … ma non si invoca abbastanza un’istituzione che potrebbe fare molto di più che una sola campagna di sensibilizzazione il cui slogan principe è “sicurezza sul lavoro, la fa chi si vuole bene“.
Si continua a parlare di morte bianca ma ecco che il “bianco” comincia a prendere nuove sfumature: il bianco non più sinonimo di innocenza, purezza e candore; il bianco comincia a significare ASSENZA: assenza di una mano formalmente responsabile dell’accaduto. Il bianco assume la sfumatura del silenzio, dell’inosservato, dell’indifferente, dell’assente. E’ come se le morti sul lavoro avvengano per colpa di nessuno ma solo di un amaro ed imprevedibile destino. Di certo, un approccio fatalistico attribuisce al destino un ruolo importante nella vita dell’uomo: basti pensare ad un malanno di stagione che ci costringe in un letto o ad un fortuito incidente scampato sul tragitto che avremmo dovuto percorrere quel giorno da casa a lavoro … Ma un approccio fatalistico rende l’uomo permeato da passività e lo abbandona ad una inettitudine pirandelliana che non lo aiuta a ribellarsi al triste stato delle cose, facendo sì che l’uomo venga vissuto dal tempo che scorre. A tal proposito si pensi a quanti operai nella storia, e purtroppo ancora oggi, hanno respirato fibre di amianto, “forse non” inconsapevoli del suo epiteto “serial killer”.
Quanti operai continuano a salire su ponteggi senza neanche un caschetto in testa, un’imbragatura: questi sono consapevoli che un piede messo male a 20 metri d’altezza potrebbe causare una scivolata ed una “consapevole” caduta mortale. Ma che fanno per ribellarsi a questa situazione?
In passato si assisteva a masse di lavoratori che protestavano contro lo stato di cose, contro il cosiddetto “sistema”; si assisteva a sfilate di lavoratori scampati ad infortuni mortali che protestavano con croci bianche tra le mani e per ogni morto veniva fissata una croce bianca.
Ad oggi notevoli sono gli sforzi che si sono fatti ed i traguardi che si sono raggiunti grazie a chi è impegnato in prima persona sul campo: è indispensabile che il colore cominci a prendere corpo e il significato che merita, un campo di croci bianche non può più suscitare INDIFFERENZA.
Cliccando in basso è possibile ascoltare la toccante poesia del metalmeccanico Carlo Soricelli, magistralmente interpretata da Flavio Insinna:
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