lunedì 28 marzo 2011

Confermata la condanna per la morte di Jamal Boulhabib Eddine

Brescia, siderurgica Feralpi: confermata la condanna per la morte di Jamal
Boulhabib Jamal Eddine è morto l’11 novembre 2002 alla Feralpi Siderurgica Spa di Lonato del Garda (Brescia). Una morte orribile, mentre stava intervenendo per un incaglio durante una fase della lavorazione della vergella, investito da un rotolamento improvviso del filo, che gli ha provocato il decesso immediato per decapitazione. La Fiom Cgil di Brescia si è costituita parte civile in un processo che ha visto accusato l’allora responsabile alla sicurezza del lavoro in Feralpi Luigi Locatelli, condannato ad un anno di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Una sentenza che avuto la prima conferma nel 2005, seguita dalla respinta di impugnazione da parte della Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Brescia il 23 novembre 2009 e dal recentissimo rigetto del ricorso presentato dallo stesso Locatelli. Il 23 marzo 2011 la Corte Suprema di Cassazione ha respinto la richiesta e ha così confermato la condanna per il delitto di omicidio colposo nei confronti di Jamal Eddine, deceduto per decapitazione.
Il sindacato dei lavoratori metalmeccanici ha reso pubblica la notizia con la diffusione di un comunicato stampa, prontamente divulgato sul sito ufficiale della Cgil Camera del Lavoro di Brescia. La sentenza della Cassazione conferma “l’obbligo giuridico delle misure di protezione necessarie negli impianti di laminazione”, dove “devono essere predisposte difese per il materiale investa i lavoratori”. La IV Sezione Penale della Corte conferma inoltre che nel caso di infortuni sul lavoro “esistono specifiche norme che legittimano il sindacato a costituirsi parte civile nel processo penale, indipendentemente dall’iscrizione del sindacato della persona offesa”.
La Cassazione riconosce dunque la violazione delle regole di prevenzione, confermando sì che l’infortunio mortale di Jamal è avvenuto sia per “l’inadeguatezza dell’informazione del lavoratore sui rischi propri della lavorazione cui era adibito”, ma anche e soprattutto per “l’inadeguatezza (o addirittura l’inesistenza!) delle misure di protezione necessarie per evitare il contatto tra lavoratori e metallo incandescente”.
Alessandro Gatta

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