mercoledì 5 ottobre 2011

Eugenio Arcidiacono di Famiglia Cristiana.it

Ancora una tragedia che rivela la precarietà della sicurezza nelle abitazioni e in tanti luoghi di lavoro. Si muore soprattutto in agricoltura ed edilizia. E nel sommerso, "in nero". 04/10/2011 Crollo della palazzina a Barletta: soccorritori al lavoro. Morire per 3,95 euro l'ora, senza contratto, per confezionare magliette in uno scantinato. Ora tutti piangono le quattro operaie rimaste sepolte dal crollo della palazzina di Barletta dove lavoravano dalle 8 alle 14 ore al giorno. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha usato parole durissime per deplorare quanto è accaduto: «L'inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l'accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità, e soprattutto l'impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e vigilanza». Già, l'impegno di tutti a tenere alta la guardia. Il fatto è che quando non accadono tragedie di queste dimensioni, una morte sul lavoro al massimo conquista trafiletti sui giornali come: “Muore cadendo da un’impalcatura” o “Stritolato dalla pressa”. Marco Bazzoni, operaio di 36 anni in una fabbrica di Firenze, è diventato un vero esperto in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Da anni tempesta giornali e Tv con le sue denunce. Soprattutto non gli va giù che queste tragedie vengano chiamate "morti bianche”, «quasi a volerle sminuire, ad affermare che non ci sono responsabilità, quando non è quasi mai così. Mi fa rabbia sapere con certezza che anche stavolta, com'è successo dopo la tragedia alla Thyssen di Torino, passata l'emozione iniziale si continuerà a morire nell'indifferenza generale. Del resto, la politica in questi ultimi anni non ha fatto nulla per cambiare le cose, anzi. I controlli delle Asl nelle aziende sono diminuiti, anche perché il personale è assolutamente insufficiente: ci sono solo 1.850 tecnici della prevenzione, mentre le aziende italiane sono circa 6 milioni. Come non bastasse, il Governo due anni fa, con la legge 106/09, ha dimezzato le sanzioni a carico degli imprenditori e dei dirigenti che non rispettano le normative sulla sicurezza». Proprio su quest'ultimo punto Bazzoni ha presentato un documento di dieci pagine al Parlamento e alla Commissione europea per denunciare le difformità di alcuni articoli della legge rispetto alle disposizioni dell’Ue. «Dopo quattro mesi ho ricevuto una risposta: l’Italia è stata messa in mora in attesa del pronunciamento dei Commissari che potrebbero avviare una procedura di infrazione». C’è un altro operaio che porta avanti la stessa battaglia di Bazzoni. A dire il vero è un pensionato, dopo aver lavorato per oltre quarant’anni come metalmeccanico a Bologna. «Ma quando ho visto le immagini degli operai della Thyssen mi sono sentito uno di loro e ho capito che dovevo fare qualcosa». Carlo Soricelli nel 2008 ha aperto un blog, l’Osservatorio indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro. Ogni giorno, con l’aiuto di collaboratori sparsi in tutta Italia, scandaglia meticolosamente giornali e siti Internet a caccia di notizie su morti sul lavoro e aggiorna il suo triste archivio. Il suo lavoro con il tempo ha ottenuto una patente di affidabilità, tanto che i sindacati si rivolgono spesso a lui per avere dati aggiornati. Quel che salta agli occhi consultandoli è la forte discrepanza con quelli recentemente forniti dall’Inail, relativi al primo semestre del 2011, secondo i quali risulta una riduzione degli infortuni del 4% e dei decessi del 7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Aggiunge Soricelli: «Questi dati sono sottostimati perché non tengono conto dei lavoratori che non sono assicurati con l’Inail, cioè quelli in nero e i pensionati. Su questi ultimi i nostri dati sono impressionanti: quasi un terzo di tutte le morti sul lavoro riguarda persone con più di 65 anni, in larga parte agricoltori che restano schiacciati dai loro trattori». Non solo: a questi numeri andrebbero aggiunti i lavoratori deceduti in itinere, cioè in incidenti stradali avvenuti mentre vanno o tornano dal lavoro: da 508 morti si passa così a oltre 830 vittime «della fretta, della fatica, dei lunghi percorsi, di turni pesanti in orari in cui occorrerebbe dormire». Secondo l’Osservatorio, quasi il 60% delle morti sul lavoro è concentrato in due settori produttivi: l’agricoltura (31,2%) e l’edilizia (27,7%). «Guarda caso sono i settori in cui, a differenza delle fabbriche, la presenza sindacale è più carente o addirittura nulla. Ciò che mi fa rabbia è che con le nuove tecnologie basterebbe davvero poco per salvare molte vite. Le morti in edilizia sono dovute soprattutto a cadute dall’alto che si potrebbero evitare se le protezioni e le impalcature fossero a norma di legge. Così come tanti incidenti in agricoltura potrebbero essere scongiurati, se fosse stabilito l’obbligo di intervenire sulla cabina del trattore, in modo tale da non permettere al guidatore di essere sbalzato fuori in caso di manovra errata, e sottoponendo gli anziani agricoltori, quando raggiungono una certa età, a una visita medica d'idoneità alla guida, anche se si usa il mezzo in terreni di proprietà». C’è poi il capitolo più triste, quello dei lavoratori in nero che non finiranno mai in nessuna statistica se gli capita qualcosa, a meno che la gravità della tragedia non sia tale, come purtroppo è accaduto a Barletta, da far emergere la loro condizione. «Riceviamo di frequente notizie di lavoratori extracomunitari abbandonati morenti o già morti davanti a un ospedale dopo un incidente, per non parlare di quelli a cui tocca una sorte ancora peggiore: spariscono nel nulla, perché tanto, in quanto clandestini, è come se non esistessero». La crisi economica ha ulteriormente aggravato la situazione: «Nel 2008 c’era stata effettivamente una diminuzione delle vittime, ma dopo è stata una crescita continua. Nonostante le tante belle parole, per molte imprese la sicurezza continua a essere vista solo come un costo, e quindi non si investe, anzi si taglia, specie in un periodo come questo». Eugenio Arcidiacono

Nessun commento:

Posta un commento