lunedì 7 gennaio 2013

Intervento del Prof. Salvatore Palidda (Disfor-Unige)

Intervento a incontro nazionale RLST Genova 29/11/2012 Infortuni, malattie professionali e le insicurezze ignorate dalla governance liberista Intervento di Salvatore Palidda (Disfor-Unige) Premessa Il mio intervento si rifà in parte alla ricerca che ho diretto per il Dipartimento dell’Università di Genova di cui faccio parte, una ricerca per conto della Regione Liguria e dell’Inail pubblicata nel 2009 col titolo: Infortuni e malattie professionali. Cosa ne pensano i lavoratori, e in parte a ricerche più recenti e in corso che riguardano la governance della sicurezza, le “insicurezze ignorate” e quindi anche un bilancio delle attività delle polizie, degli ispettorati del lavoro, delle ASL dal 1990 ad oggi. Proprio l’attualità drammatica di Taranto conferma quello che insieme ai lavoratori intervistati nel 2009 avevamo capito: ben oltre i singoli episodi di infortuni sul lavoro, la tragedia dell’insicurezza travolge tutti e tutto: i lavoratori mentre lavorano e quando si ammalano e muoiono a seguito del lavoro e la popolazione che vive attorno alle attività che producono inquinamento mortale o nei pressi delle discariche di rifiuti. Ma perché e come s’è arrivati all’ignobile antitesi fra diritto al lavoro e diritto alla salute e alla vita? Perché i lavoratori sono arrivati ad essere spesso del tutto isolati e impotenti di fronte a questa contrapposizione fra due diritti sanciti dalla Costituzione? E’ evidente che se non troviamo le risposte soddisfacenti a queste domande non potremo sperare nella possibilità di una prospettiva quantomeno meno tragica. * * * 1) Senza risalire a tempi troppo lontani, basta guardare la storia recente (e non solo italiana) per constatare che prima con la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale e poi tutto lo sviluppo economico sino alla più recente crisi e, ancora oggi, la stessa sopravvivenza dell’economia si sono sempre nutriti di supersfruttamento, sacrifici, umiliazioni e persino la vita stessa di milioni di lavoratori. 2) In nome dello sviluppo il sacrificio umano dei lavoratori e della stessa popolazione che ha vissuto e vive attorno alle strutture produttive è stato considerato un costo necessario da pagare al pari dei soldati mandati a morire per le guerre. 3) Quanti sono i morti sul lavoro, i decessi a seguito di infortuni e di malattie e quanti i morti di cancro fra la popolazione delle zone industriali? Come mostrano i casi di Casale Monferrato, di Porto Marghera, di Priolo/Siracusa, di Gela, di Bagnoli, di Taranto, di Quirra e tanti altri ancora è evidente che non si tratta di un “problema” dei soli lavoratori ma di un fatto politico totale in quanto riguarda tutta la popolazione e in quanto riguarda l’organizzazione politica della società. Un’organizzazione che solo a parole ha tutelato la salute e la vita dei lavoratori, quasi mai quelle della popolazione e che oggi mostra solo lo spettacolo del fallimento e ancora una volta la resa di fronte a quegli attori forti che hanno imposto la contrapposizione fra lavoro e tutela della stessa vita. 4) Da molti anni i commenti delle statistiche riguardanti i morti e gli incidenti sul lavoro tendono molto spesso ad accreditare l’idea che ci sia una continua diminuzione e che in definitiva la sicurezza sul lavoro sia molto più tutelata. Ma cosa dicono e come andrebbero lette queste statistiche con onestà intellettuale e quindi attraverso una osservazione effettivamente attenta e rigorosa della realtà? 5) E’ vero che le statistiche ufficiali mostrano una certa diminuzione delle morti e degli incidenti sul lavoro: secondo il rapporto INAIL1 nel 2011 gli infortuni sono stati 725.174 (meno 6,6%) e 920 sono stati i casi mortali (meno 5,4%). Dal 1951 c’è stata una rilevante diminuzione dei morti e degli infortuni: la punta massima dei morti sul lavoro si ebbe nel 1963 con 4.644 decessi e quella degli infortuni nel 1970 con 1.601.061. 6) E’ innanzitutto importante ricordare che questa diminuzione è dovuta alle tante lotte che hanno fatto i lavoratori. 7) Ma, questa diminuzione è nei fatti proporzionale al calo continuo del lavoro regolare e stabile e quindi proporzionale solo agli incidenti riconosciuti dalle autorità ed enti preposti a questo scopo; ricordiamo che nel 1971 i lavoratori dell’industria erano 8.350mila e già nel 2001 erano 7.029mila e nel 2010: 5.036mila (di cui 3.864mila nell’industria in senso stretto e 1.172mila nelle costruzioni), nell’agricoltura 3.243mila nel 1971 e nel 2001: 1.154mila e 1.036mila nel 2011 (meno 3.314mila nell’industria e meno 2.207mila nell’agricoltura (perciò il tasso di infortuni è più alto anche se sono diminuiti) (vedi dati ISTAT); 8) il cosiddetto “numero oscuro”, ossia le morti e gli incidenti di cui non si ha riscontro ufficiale, è probabilmente aumentato e tanti sono gli indicatori che vanno in questo senso. Secondo l’Inail gli infortuni di lavoratori "in nero" si stimano a 165mila. Ma il calcolo di questa stima si basa sul dato dell'Istat che per il 2010 stima solo in quasi 3 milioni le unità di lavoro "in nero"; 9) in realtà è assai probabile che si tratti di un numero ben più alto di incidenti nascosti, dissimulati, occultati di lavoratori precari, semi-precari o del tutto al nero che popolano il mondo delle economie sommerse sempre più intrecciate con quelle legali come con la criminalità; 10) Secondo le più recenti stime (probabilmente in difetto perché la crisi fa aumentare il sommerso) il 35% del PIL italiano è dovuto alle economie sommerse e semi-sommerse2; a questa percentuale di PIL si può stimare che corrispondano circa otto milioni (forse di più) di lavoratori che oscillano fra precariato, semi-precariato, semi-nero e nero totale (solo i precari sono oltre 4milioni). 11) Gli otto milioni di precari, semi-precari e al nero sono lavoratori italiani e lavoratori stranieri (regolari e i cosiddetti “clandestini”, i più ricercati per le attività al nero e al semi-nero perché i più ricattabili sino ad essere costretti a condizioni di neo-schiavitù). Se si adotta quest’altra stima si può calcolare che gli infortuni di lavoratori in nero probabilmente sono circa 440mila e forse di più. 12) Il semi-nero e il nero non sono solo nei cantieri edili e nelle fabbrichette del Meridione o anche al nord dei cinesi che lavorano per le grandi marche italiane3; è nelle regioni del Nord che si concentra la maggioranza del nero e del semi-nero e riguarda anche le ditte subappaltatrici che lavorano nelle grandi imprese come raccontano diversi lavoratori della Fincantieri di Genova. 13) I lavoratori precari o al nero sono spesso costretti a lavorare ignorando le norme di sicurezza, con ritmi insostenibili e quindi con alto rischio di incidenti che spesso sono nascosti. 14) Questo rischio non riguarda solo i precari e quelli al nero delle ditte appaltatrici ma anche i lavoratori a tempo indeterminato che lavorano a fianco o a poca distanza dai primi. 15) Ciò che fa sentire i lavoratori impotenti di fronte a tali rischi è il confronto fra la tragica impossibilità di sottrarsi ad essi, da un lato, e dall’altro lato, l’unanime pietà, le norme abbastanza buone, le tecnologie avanzate, insomma la possibilità (in astratto) che si possa lavorare per vivere e non per morire di “disgrazia”, storpi o ammalati. Dal presidente Napolitano al Papa, dagli artisti ai politici, tutti si commuovono e sinceramente o demagogicamente affermano che le morti sul 1 Vedi http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Prodotti/New s/2012/INAIL/info1811689707.jsp) 2 Vedi stime Eurispes e Istituto di Studi Politici San Pio V, Italia in Nero, 2012 3 Vedi le puntate di report “schiavi del lusso”: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-132f40c7-4377-4f83-a37f- 78106ecb6dcc.html e l’aggiornamento: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8501049c-3fdd-48a8-a143- a9ee09e8b432.html lavoro sono intollerabili. Ma, dal punto di vista dei lavoratori più soggetti ai rischi l’ipermediatizzazione dell’indignazione per queste morti (ma non altrettanto per l’oltre milione effettivo di infortuni e ancora meno per le malattie professionali) ha accentuato la sensazione di impotenza perché nei fatti sono abbandonati a se stessi, sono isolati di fronte ai rischi. 16) Le resistenze non mancano ma spesso sono troppo deboli per far fronte a un’asimmetria di potere troppo sfavorevole anche a causa della scarsa capacità critica dei discorsi e delle pratiche dei poteri, un limite che deriva dall’operaismo ingenuo e qualche volta corrotto soprattutto se nutrito da un ambiguo culto del lavoro, un culto che arrivò ad accettare la monetizzazione dei rischi e della salute, il baratto fra lavoro e salvaguardia della stessa vita. 17) Il lavoratore costretto a rischiare la salute e persino la vita sopravvive –non a lungo- per il profitto del suo datore di lavoro e anche gli artigiani e i piccoli imprenditori rischiano per la corsa al profitto e l’illusione di arricchirsi. 18) La pietà elargita ai morti sul lavoro rafforza di fatto l’idea corrente che si tratta di disgrazie che colpiscono i più marginali, gli immigrati, i meno qualificati, i giovani. E’ una pietà a buon mercato che assomiglia a quella concessa anche ai clochards o ai migranti ... quando annegano. 19) Si aggiunge subito la retorica paternalista che oscilla fra vecchio operaismo e neoliberismo a volte anche razzista: “è una questione di cultura”, “bisogna puntare sulla formazione”, “non c’è più cultura del lavoro”, “i giovani pensano sono a divertirsi, ai gadgets, vanno in discoteca e poi al lavoro non stanno attenti, si drogano, sono sbandati...”, “gli immigrati non capiscono niente, a parte che non sanno neanche leggere, poi pensano solo a lavorare come forsennati per guadagnare al massimo -perché hanno paghe più basse che gli italiani- e non hanno mai cultura del lavoro”. 20) Ovviamente c’è chi pensa correttamente all’informazione e formazione sulla sicurezza nel lavoro, ma non sempre si distingue da certi operatori della sicurezza che parlano e agiscono come quei padroni che fanno dire anche a un capocantiere “Si é costretti a chiedere ai propri lavoratori sforzi sovraumani ... manco fossero dei super eroi”. 21) La realtà nuda e cruda è infatti evidente: l’applicazione delle tutele previste è impraticabile proprio per chi rischia di più perché lavora in nero, è precario, è ricattato, è fagocitato dai ritmi della produttività, della competitività. Non è un caso che a morire o restare infortunati o a beccarsi malattie sono sia lavoratori più isolati e più deboli, sia artigiani e piccoli imprenditori. 22) Come dice un altro capocantiere: “È una specie di piccola guerra e i campi di battaglia sono i tempi di lavoro, i costi e le spese ...”. 23) Per gran parte di chi lavora fra nero, seminero, precario e semi-precario la rassegnazione al possibile male è implicita, si cerca di non pensarci, tanto non ci puoi fare niente”. Qua non è possibile la riduzione del danno: “che fai? Non vai a lavorare?”. “Se stai attento lavori troppo piano”, dice un operaio del porto. “Per incrementare la produzione e i loro facili guadagni non guardano in faccia a nessuno”, dice un operaio dei trasporti. “I salari sono bassi, per aumentarli un po’ devi per forza fare straordinari”(un operaio del porto). “L’extracomunitario non può permettersi di stare a casa e cascasse il mondo lui va a lavorare. Oltre a dover mantenere una famiglia è pagato pochissimo rispetto a noi italiani e cerca quindi di lavorare il triplo solo per guadagnare lo stesso nostro stipendio” (metalmeccanico). “I più a rischio sono sicuramente gli stranieri che non sono in regola; sono quelli che hanno più paura di rimanere senza lavoro e quindi accettano tutto”. “C’è troppo lavoro nero e anche cantieri senza contratto”. 24) Anche i lavoratori di grandi aziende, apparentemente più tutelati, finiscono per essere soggetti agli stessi rischi dei più deboli: la proliferazione delle ditte subappaltatrici che a volte impiegano persino “clandestini” per lavori da “carne da macello” e la sovrapposizione delle lavorazioni mette tutti a rischio come se si fosse tutti al fronte sotto il fuoco incrociato. E’ il trionfo del liberismo! 25) “Un grandissimo problema: l’incomunicabilità ... non esiste più una coesione tra gli operai ... oggi siamo milioni di ditte differenti e la coesione è praticamente inesistente. Poi c’è l’extracomunitario che non può permettersi di stare a casa ... ormai non arrivi a fine mese e per fare dei soldi ti tocca andare a lavorare a rischio ... io potrei anche scioperare, ma per mantenere una famiglia non puoi permettertelo”. 26) Scattano allora le critiche se non le condanne generalizzate di tutte istituzioni, confuse fra loro; Inail, ispettorati, Asl, enti locali e anche i sindacati : “non si vedono mai” o “sono probabilmente corrotti”, “siamo abbandonati a noi stessi”. E una delegata amaramente ricorda: “Sono intervenuta per dire: cerchiamo di ridurre il rischio, invece che monetizzarlo … sono stata accusata di non voler fare ottenere risultati economici ai lavoratori …”. 27) “Ho fatto il corso sulla sicurezza. Ma cosa serve fare a distanza di anni un corso di cinque ore ... il tutto sembra una enorme farsa. A che serve conoscere le norme di sicurezza a memoria se poi effettivamente non si fanno rispettare?” (capocantiere edile). Come possono non moltiplicarsi i rischi, i pericoli e le insicurezze se alcune delle cause che li producono continuano a peggiorare? 28) L’isolamento e l’individualizzazione delle responsabilità (il primo sospetto è sempre che sia “errore umano”, cioè colpa della vittima che diventa anche carnefice perchè ha vittimizzato anche gli altri) si inscrive nell’idea generale che è “un problema di una parte dei lavoratori”. 29) E’ allora triste che anche i sindacalisti e sinceri operatori della sicurezza, purtroppo, facciano fatica a capire gli intrecci tra insicurezza sul lavoro, produzione di merci nocive per la salute, inquinamento ambientale, economie sommerse, ecomafie, evasione fiscale. 30) Sta forse qua il punto cruciale da cui partire per spezzare l’isolamento, la frustrazione, l’impotenza e la debolezza dell’agire collettivo dei lavoratori: i rischi di morte, infortuni e malattie professionali non sono un problema dei soli lavoratori marginali ma la questione politica che riguarda tutta la società perché riguarda direttamente la tutela dell’ambiente, dei prodotti di consumo, i rifiuti, il risanamento del sommerso e quindi anche l’interesse di tutti. 31) Si fa un gran parlare di lotta all’evasione fiscale e alla corruzione ma cosa fanno le istituzioni preposte ai controlli ? 32) Al di là delle vicende di corruzione che da sempre riguardano alcuni elementi del personale degli ispettorati del lavoro, delle ASL, delle polizie e persino della magistratura, è noto che in questi ultimi venti anni questo personale è stato ridotto mentre la lotta alle insicurezze e il governo della sicurezza sono stati deviati su falsi nemici o sui “nemici di turno” che hanno fatto comodo alla demagogia di tanti (di centro sinistra e ancora di più della destra) per raccogliere consensi. C’è stata una gigantesca distrazione di massa e anche di competenze : le vere insicurezze di cui soffre gran parte della popolazione perché non tutelata sono state ignorate. Le vittime di supersfruttamento, abusi, violenze e neo-schiavitù non hanno avuto e non hanno tutele. 33) Guardiamo dapprima il livello locale: dal 1990 ad oggi quasi tutte le polizie municipali (o locali) sono state orientate a impegnarsi nella persecuzione dei rom, degli immigrati cosiddetti clandestini e persino dei barboni (attività che comunque non compete a queste polizie) trascurando sempre più il controllo dei cantieri e delle strutture produttive, lo smaltimento dei rifiuti, le infrazioni alle norme ambientali ecc. In un comune lombardo, il capo della polizia municipale che aveva programmato controlli regolari contro furgoni che rifacevano i continuazione anche gravi infrazioni al codice della strada e che aveva scoperto trasportavano lavoratori al nero nei cantieri e in fabbrichette del sommerso è stato costretto alle dimissioni perché dava troppo fastidio agli imprenditori “padani” (parte di questa giunta leghista e di destra è finita inquisita per collusioni con la mafia). 34) Quando viene a mancare il controllo che compete alle polizie locali neanche le latre polizie sono sollecitate ad agire contro l’insicurezza sul lavoro che è sempre collegata a lavoro nero, sommerso e violazione delle norme ambientali quindi danni alla saluti pubblica. 35) Proprio a Genova, l’ex sindaca pd e il suo ex-assessore aspirante sceriffo hanno agitato continuamente progetti di igiene, morale, decoro stanziando sempre più fondi per le polizie, per la videosorveglianza e dulci in fundo per i braccialetti da dare ai turisti per farli sentire più sicuri. A colpi di demagogia qualcuno è arrivato a dire che bisognava mandare l’esercito per la “tolleranza zero” contro le morti sul lavoro. Altri hanno lanciato la campagna “zero morti”. 36) Come è noto ben poco è cambiato anche col governo dei cosiddetti tecnici. Anzi, molti segnalano che per far fronte alla crisi la tutela della sicurezza sul lavoro e di quella del territorio sono indebolite. 37) Non si può invocare la crescita per uscire dalla crisi senza mettere in discussione la concezione di questa sinora dominante: occorre innanzitutto risanare ciò che la crescita deleteria del passato ci lascia in eredità e ripensare una crescita sostenibile dal punto di vista dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani e quindi anche della salute e dell’ambiente. E’ quindi di fondamentale importanza rilanciare questa lotta non più come sola lotta dei lavoratori per la sicurezza sul lavoro ma come lotta comune di lavoratori e della popolazione tutta per la difesa della sicurezza sul lavoro e del territorio.

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