San Fele, morì al lavoro
Comune non assicurato
non risarcisce i familiari
di FABIO AMENDOLARA
SAN FELE - Era un lavoratore precario e non si tirava indietro quando c’era da lavorare. Il Comune lo chiamava per le attività più disparate. E a San Fele era considerato un po’ un «factotum». Poi, il 13 novembre del 2001, Antonio Sperduto, muore in un incidente sul lavoro. Proprio mentre portava a termine il compito che gli aveva assegnato un funzionario del Comune. Ma un mese prima dell’incidente mortale l’assicurazione del Comune era scaduta. Dopo una lunga battaglia legale l’ente, condannato dal Tribunale di Potenza al pagamento di 247mila euro, cerca un accordo. E gli eredi della vittima accettano una transazione. Ma dopo il versamento di un acconto il Comune non paga più. La scusa ufficiale: i conti sono in rosso. Dai mandati di pagamento dell’ente - che la Gazzetta ha potuto consultare - però è facilmente verificabile che la tesoreria, affidata a uno sportello bancario, ha versato diverse migliaia di euro per spese non ordinarie. E tra queste ci sono «spese legali» di vario genere. Tranne le altre rate del caso Sperduto.
I fatti. La transazione tra il Comune di San Fele e la famiglia della vittima risale al 2008: 190mila euro in tre anni. La famiglia, oltre ad accontentarsi della cifra, rinuncia alle spese legali e agli interessi. Pochi giorni dopo viene riconosciuto dall’ente il debito fuori bilancio. La delibera viene anche trasmessa alla Corte dei conti per dimostrare che il Comune con la transazione è riuscito a risparmiare. Ma dopo la prima rata da 30mila euro il Comune non ha rispettato i patti. Nel 2010 gli eredi di Sperduto mettono in mora il Comune e nel 2011 notificano il primo atto di precetto delle somme all’uf ficio finanziario del Comune (coordinato dal funzionario Leonardo Di Leo). Poco dopo il sindaco Gerardo Fasanella convoca gli eredi e chiede loro di non eseguire il pignoramento delle somme, annunciando che il debito sarebbe stato onorato.
Nel mese di luglio di quell’anno il Comune ottiene 500mila euro di finanziamenti statali. Ma ai creditori non arriva un euro. Parte il pignoramento. La banca che si occupa della tesoreria del Comune dichiara l’impignorabilità delle somme. Ma gli eredi non mollano e propongono quello che in gergo legale viene definito «accertamento obbligo del terzo». Il giudice si è riservato la decisione. Nel frattempo arriva alla famiglia una nuova richiesta di accordo: il Comune paga se gli eredi si accontentano di 120mila euro (ignorando però che nella transazione c’era una clausola che prevedeva il decadimento degli accordi se le rate non fossero state versate. In quel caso sarebbe tornata in vigore la sentenza del Tribunale). Nel corso della trattativa il Comune viene commissariato ed è a un passo dal dissesto finanziario. Sarà il commissario prefettizio Mauro Senatore a prendere di petto la questione? A oltre otto mesi dal suo insediamento non sembra aver preso la questione a cuore. Nel frattempo gli interessi crescono. E anche il danno alle casse
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