domenica 19 febbraio 2017

Occhi di mamma che ha perso una figlia di 31 anni per infortunio sul lavoro. Lisa Picozzi aveva solo 31 anni, era ingegnere

Lisa Picozzi, 31 anni, Ingegnere Edile (Laureata il 20 aprile 2004 presso il Politecnico di Milano) e Pallavolista Professionista, ha perso la vita il 29 settembre 2010 in un incidente sul lavoro a Tricase, in provincia di Lecce.

GLI OCCHI DI MAMMA MARIANNA CHE HA VISTO MORIRE LA SUA UNICA FIGLIA DI INFORTUNIO SUL LAVORO.

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Gli occhi di Mamma Marianna, che ha visto morire la sua unica figlia il 29 settembre del 2010 di infortunio sul lavoro sono ancora così, dopo 5 anni, e dovrebbero svegliare le coscienze.
Ma perché non è insopportabile per chi ci governa vedere gli occhi di questa madre che ogni giorno piange la morte per infortunio sul lavoro della sua unica figlia?
Perché anche con il Jobs Act si cerca di diminuire la Sicurezza per chi lavora nel nome della “burocrazia” e i controlli quasi dimezzati a causa della diminuzione del numero d’ispettori?
Naturalmente non è burocrazia, ma solo normative per far rispettare procedure per cercare di attenuare queste tragedie.
Lisa Picozzi un’ingegnere di 31 anni è morta il 29 settembre del 2010, lontana da casa. Lei milanese è morta cadendo da un tetto di un capannone. Gli occhi bellissimi di Marianna sono ancora così dopo 5 anni dalla tragedia.
Riporto a seguire quanto scritto da Marianna Viscardi e riportato nelle pagine del blog “fiori recisi” (http://omaggioaimortiusullavoro.blogspot.it) dedicato ai morti sul lavoro, che ho conosciuto attraverso l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro.

Fiore reciso Lisa Picozzi.
Saluto disperato al mio unico grande amore che, per incoscienza e incuria di persone senza scrupoli, ha perso la vita lavorando, lontana dalla sua casa, in un maledetto pomeriggio di un maledetto 29 settembre.
Milano-Lecce, biglietto di sola andata.
Solo chi ha perso un figlio può davvero capire quanto è grande il dolore che ti squarcia il cuore e quanto è poca cosa tutto quello per cui la maggior parte della gente si affanna. Perdere un figlio provoca un senso di smarrimento e di devastazione, che va oltre ogni umana comprensione. Gli altri possono solo cercare di immaginarlo, provare a esserti vicini, nel tentativo di aiutarti a sopportare il senso di abbandono e la disperazione che ti tolgono il respiro e la voglia di esistere. Ma è un’impresa impossibile.
Amore mio, mercoledì scorso, alla fine del viaggio che mi stava portando da te, ho sentito le parole che mai, nella mia vita, avrei voluto sentire “purtroppo, Lisa non ce l’ha fatta”. Il gelo mi ha penetrata e non ho potuto soffocare le grida di disperazione. Eppure, anche se il sangue e il mio cuore mi dicevano che era finita, per tutto il viaggio aereo avevo sperato nel miracolo…che non è arrivato!
Tu, amore mio grandissimo, mi avevi già lasciata priva del tuo abbraccio, facendomi sprofondare nell’oscurità che ora mi avvolge, dove neppure il ricordo dell’azzurro dei tuoi occhi meravigliosi riesce a creare uno spiraglio di luce. Dolcissimo amore mio, sono stata fortunata ad averti come figlia. Dio ti ha dato bellezza e intelligenza, ma ti ha fatto anche il grande dono dell’umiltà, della generosità, dell’entusiasmo contagioso che ti hanno reso una bambina, prima, una ragazza e una donna, poi, meravigliosa.
Hai avuto in dono anche le doti per essere un’atleta eccellente…e tu hai scelto la pallavolo per esprimerle, a livello agonistico, fino alla soglia della serie A. La tua grande passione ti ha dato qualche amarezza, ma tante soddisfazioni e il mondo della pallavolo, che, incredulo, gremisce oggi la piazza, per salutarti, lo testimonia.
Avresti potuto ambire a maggiori traguardi ma, nel momento di scegliere, ti sei fatta seria per dire, senza esitazione, “voglio essere un ingegnere che gioca a pallavolo, non il contrario: un ingegnere vero, un ingegnere come il mio papà”. Ed è stato così; hai portato avanti gli studi impegnativi della facoltà di Ingegneria Edile e il tuo sport con grande impegno, serietà, tenacia e…tanta fatica fisica…che io vedevo e che tu superavi con la tua incredibile energia.
Prima di diventare “un ingegnere che fa le casette”, sei stata un ingegnere dei sentimenti, quei sentimenti che la tua mamma ti ha messo a disposizione e che tu hai sublimato con la generosità del tuo cuore e la trasparenza della tua anima.
Vincere, nello sport e nella vita, non era solo per te, ma anche per regalare soddisfazioni alla tua mamma e al tuo papà, che ti hanno sempre seguito con amore, orgogliosi e fieri di questa figlia così UNICA. Il tuo “essere unica” è stato percepito e apprezzato anche nell’ambiente di lavoro, quel lavoro che ti rendeva orgogliosa e per il quale, ora, ti sto parlando con tutto il mio amore e un filo di voce.
Lascerai un vuoto incolmabile, sarà difficile, per chi ti ha conosciuta, vissuta o anche solo sfiorata, amata, dimenticare il tuo sguardo, il tuo sorriso, la passione che mettevi in tutto quello che facevi. Per la tua mammina, come mi chiamavi tu, sarà impossibile convivere questo vuoto.
Da un anno, un giorno la settimana, quando non avevi allenamento, andavi in Salento per i tuoi sopralluoghi, i tuoi progetti, i tuoi cantieri e io, ogni notte, aspettavo con un po’ di ansia il tuo messaggio “arrivata, baci”, con il profondo inconscio timore che, un giorno o l’altro, questo messaggio avrebbe potuto non arrivare…
Anche mercoledì mattina, sveglia alle ore 4 e 48, sei partita per Lecce, ma con un BIGLIETTO di SOLA ANDATA, perché il destino ha voluto lasciarti in quella terra, che era diventata un po’ anche tua, dove hai lasciato il tuo segno nel cuore di molte persone che, ora, ti piangono con me.
Ma non sei stata la sola: mercoledì, 29 settembre 2010, anche il mio è stato un BIGLIETTO di SOLA ANDATA, perché il mio cuore e la mia voglia di vivere sono rimasti là, su quel pavimento, dove la tua vita si è fermata! Le lacrime e il respiro li sto lasciando ovunque…ma ti ritroverò, perché sei dentro di me! Ovunque tu sia, aiutaci a vivere senza di te.
Ciao, passerotto, con tutto il mio amore.
Oggi, 29 ottobre 2014, sono passati quattro anni e un mese da quel giorno e niente è cambiato, bambina mia per sempre. E’ un altro di quei giorni senza tregua. Uno di quei giorni in cui le lacrime scorrono prima ancora del risveglio, prima di ogni pensiero, prima di avere il tempo per costruire un argine di ricordi gioiosi che possa respingerle. Uno di quei giorni in cui riesco solo a dire “amore mio”, con un suono che assomiglia più a un rantolo che a una voce.
E’ un giorno in cui vorrei cancellare il sole dal cielo, perché il cielo possa piangere con me, invece di inondare di calore ogni cosa che vive. E’ un giorno in cui anche il caffè del mattino ha un sapore amaro, perché mi ricorda le mattine in cui arrivavi nella mia camera con il caffè bollente e sul vassoio posavi un fiore e un bigliettino di “buongiorno”, ma soprattutto mi inondavi d’amore con il tuo sorriso, non prima di avermi chiesto se il caffè era buono e caldo come lo volevo io…
E’ un giorno in cui non ci sono più programmi, né tuoi, né miei…né per oggi né, tanto meno, per il domani. E’ un giorno che ha il sapore del nulla e il colore di un cielo di notte senza stelle e senza luna. E’ un giorno in cui nemmeno i muri di casa impediscono all’angoscia di forzare porte e finestre, per entrare con prepotenza e depositarsi nel mio cuore e nella mia mente. E’ un giorno di immagini in bianco e nero…più nere che bianche…E’ un giorno di abbandono…
Il mio desiderio era quello di poterti sempre tenere vicina al cuore, come quando eri piccina…ti portavo sempre in braccio, portavo sul cuore la mia felicità. Il nostro desiderio, semplice e istintivo, era quello di essere sempre sulla stessa lunghezza d’onda, un’onda mossa da un amore, nato da una magica alchimia di sentimenti, che non si può comprare con la carta di credito…
Ecco, forse sta proprio qui quello che molta gente non capisce…credere che si possa vivere di un surrogato di Amore. Dopo ogni notte, si accende un nuovo giorno e, fuori, il mondo vive, anche senza di te. Ma io non sono il mondo, eri tu il mio mondo, non posso continuare a vivere, io sento solo che mi manca la parte migliore di me. Io continuo ad avere la luce spenta, mi muovo nel mio nulla e resto sempre ferma, là, a oltre mille chilometri di distanza dalla nostra casa, dietro un cancello di ferro, dentro un capannone bianco, dove il mio cuore è agonizzante sopra il tuo sangue.
“Mamma, potrò darti il mio sangue se ne avrai bisogno” mi dicevi…il tuo sangue…né tu né io abbiamo più sangue! E’ stato sprecato da chi ha solo il denaro che scorre nelle vene.
Grazie, amore mio, per aver scelto me per essere la tua mamma e per aver capito, e accettato, di essere l’unica ragione per cui un giorno sono nata. Non mi interessa essere la persona migliore del mondo, ma spero di essere stata, e continuare a essere, la migliore mamma che avresti potuto avere. ti amo perdutamente, la tua mammina per sempre.
Lisa Picozzi, 31 anni, Ingegnere Edile (Laureata il 20 aprile 2004 presso il Politecnico di Milano) e Pallavolista Professionista, ha perso la vita il 29 settembre 2010 in un incidente sul lavoro a Tricase, in provincia di Lecce. Mentre eseguiva un sopralluogo sulla superficie di un capannone industriale, è precipitata in un lucernario, non protetto a norma di Legge con una rete anticaduta in ferro, non riportato sulle planimetrie costruttive, né segnalato in loco e, per di più, occultato da una lastra di eternit che ricopriva l’intera superficie dell’edificio.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
10/7/2015

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