giovedì 9 marzo 2017

Articolo di Benedetta Gagliardoni



Volentieri pubblichiamo questo articolo di Benedetta Gagliardoni, sorella di Andrea Gagliardoni morto a 23 anni per infortunio sul lavoro. A Benedetta auguriamo un futuro radioso e ricco di soddisfazioni

http://antrodichirone.com/index.php/it/2017/03/05/lavoro-agile-o-smart-working-il-lavoro-del-futuro-o-del-presente/
Chi non sognerebbe di poter svolgere almeno parte del proprio carico lavorativo al di fuori del normale posto di lavoro?
Questa idea, fino a poco tempo fa un’utopia, sta prendendo piede anche nel nostro Paese, diventando una modalità di lavoro sempre più concreta.
Lavoro agile o smart working?
Il lavoro agile, detto anche “smart working”, nasce a seguito dell’avvertita esigenza di individuare strumenti in grado di rendere maggiormente flessibile la prestazione lavorativa e di aumentare, così, la produttività, riducendo i costi in capo al datore di lavoro e favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro del prestatore.
L’equiparazione linguistica tra l’espressione inglese “smart working” e la traduzione italiana “lavoro agile” ha suscitato diverse perplessità, dovute al fatto che, mentre la seconda sembra rimandare direttamente all’obiettivo di semplificare l’armonizzazione tra vita quotidiana e lavoro, evocando, così, una modalità lavorativa parzialmente indipendente, la prima, traducibile letteralmente come “lavoro intelligente” sembrerebbe volta maggiormente a sottolineare la volontà di trovarsi in una realtà lavorativa caratterizzata da tecnologia, efficienza, versatilità, creatività ed al passo con i tempi. Tuttavia, seppur le due espressioni assumano significati non propriamente coincidenti, si ritiene opportuno individuare l’essenza del lavoro agile o smart working per mezzo di un’operazione di bilanciamento tra quelle che sono le esigenze prettamente conciliative tra vita e sfera lavorativa e quello che è il mutamento del metodo di lavoro, sempre più tendente a modalità “smart” di svolgimento della prestazione lavorativa.
L’intervento del Ddl 2233: cosa si intende per lavoro agile?
Approvato in data 3 Novembre 2016 dal Senato ed in attesa del vaglio della Camera, il Ddl n. 2233, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, si occupa, al Capo II (artt. 15-20), anche del cd. Lavoro agile.
La definizione è contenuta nell’art. 15, che parla non già di tipologia contrattuale, bensì di “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti”. Questo primo periodo introduce due elementi essenziali: la natura subordinata del rapporto di lavoro e la volontà del lavoratore e del datore di lavoro di introdurre tale modalità lavorativa.
Caratteristiche del lavoro agile
Continuando la lettura dell’articolo si evincono ulteriori caratteristiche del lavoro agile:
– forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, in modo che datore e prestatore di lavoro siano in grado di rapportare lo svolgimento del lavoro non ad una misura oraria o giornaliera, ma a fattori ciclici o teleologici;
– svolgimento della prestazione in assenza di vincoli di orario o di luogo di lavoro, in parte all’interno dell’azienda ed in parte all’esterno, senza postazione fissa e con l’unica condizione di dover osservare i limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
– possibilità di assegnazione e di utilizzo di strumenti tecnologici aziendali, del cui buon funzionamento è responsabile il datore di lavoro.
Accordo e trattamento economico-normativo
L’accordo tra lavoratore e datore di lavoro deve essere stipulato in forma scritta e può essere a termine o a tempo indeterminato (in quest’ultimo caso il preavviso garantito, qualora si voglia recedere, non può essere inferiore a 30 giorni, termine che viene elevato a 90 giorni se si tratta di lavoratori disabili). La forma scritta di cui all’art. 16 comma 1, riferendosi “ai fini della regolarità amministrativa e della prova”, è una forma scritta ad probationem e non, invece, ad substantiam, caratteristica questa che avrebbe comportato la nullità totale dell’accordo in oggetto se non stipulato per iscritto.
Il secondo comma, dopo aver prescritto che l’accordo debba individuare i tempi di riposo del lavoratore, introduce il diritto alla disconnessione, ossia il diritto del prestatore di lavoro a che nell’accordo vengano specificate le misure tecniche ed organizzative necessarie affinché il lavoratore possa disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche utilizzate. A livello pratico, il diritto alla disconnessione ha la finalità di garantire il riposo del lavoratore, ponendolo al riparo da sanzioni disciplinari nel caso in cui si renda non reperibile in un orario diverso da quella che va individuata contrattualmente come fascia di reperibilità (ad esempio, se la fascia di reperibilità è dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00, il datore di lavoro non potrà pretendere che il lavoratore risponda alla sua telefonata delle 14:00 o delle 20:00). Il regime di reperibilità appena descritto, non deve essere, tuttavia, inteso quale disagio in capo al lavoratore oggetto di specifica indennità, come accade normalmente, ma, per contro, come peculiarità insita proprio nella modalità lavorativa del lavoro agile.
E’ prevista, inoltre, una clausola di salvaguardia in base alla quale al lavoratore agile deve essere garantito un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato alla generalità dei lavoratori presenti in azienda.
Per quanto riguarda il potere disciplinare e di controllo del datore di lavoro sull’operato del prestatore, l’art. 18 rimette l’argomento all’accordo tra le parti, facendo salvo quanto disposto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/70, così come modificato dall’art. 23 del D. Lgs. 151/2015).
Sicurezza sul lavoro ed assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali
Gli ultimi due articoli del Capo II riguardante il lavoro agile si preoccupano di dare indicazioni in tema di sicurezza sul lavoro, stabilendo che il datore di lavoro è tenuto, “con cadenza almeno annuale” (art. 19 comma 1), a consegnare al lavoratore ed al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza un’informativa che vada ad individuare i rischi generali e specifici legati alla prestazione lavorativa svolta in modalità di lavoro agile. Inoltre, nel successivo art. 20, si prevede l’obbligatorietà dell’assicurazione per gli infortuni e le malattie professionali e si stabilisce la tutela del lavoratore anche per quanto riguarda gli infortuni in itinere intercorsi nel tragitto abitazione-luogo prescelto per lo svolgimento del lavoro agile.
Lo smart working nell’esperienza reale
Andando a ricercare accordi aziendali che prevedono già sistemi di conciliazione vita-lavoro ci si rende conto, in primis, che si tratta quasi sempre di società di grandi dimensioni e, in secondo luogo, che lo smart working, prospettato come modalità lavorativa in fase di sperimentazione, viene organizzato limitandolo, dal punto di vista della sua durata, ad un numero massimo di ore o giornate su base annua o mensile. Tra gli accordi maggiormente completi troviamo, a titolo esemplificativo:
– Vodafone (regolamento del 16 giugno 2014), ha previsto 2 giorni al mese;
– General Motors Powertrain (accordo datato 6 marzo 2015), prevede un massimo di 10 giorni all’anno;
– Barilla (accordo del 2 marzo 2015), aveva fissato inizialmente il limite in 32 ore mensili, estensibili a 64 per soggetti in particolari condizioni. A metà del 2016 Il limite è stato raddoppiato ad 8 giorni di lavoro flessibile al mese, con l’obiettivo di offrire entro il 2020 a tutto il personale impiegatizio la possibilità di lavorare in modalità smart working coprendo la totalità delle ore e dei giorni lavorati. Inoltre, mediante l’attuazione del piano degli 8 giorni mensili di smart working, la multinazionale ha stimato un risparmio di circa 2136€ per ciascun impiegato, somma questa che verrebbe reinvestita a favore del lavoratore.
In conclusione, la questione centrale rimane quella di osservare come questo nuovo approccio all’organizzazione aziendale, tuttora in evoluzione e sperimentazione, andrà ad insinuarsi nel panorama lavoristico italiano e di come le nuove disposizioni verranno concretamente applicate, riscontro questo che avremo non appena verranno siglati i primi accordi in tema. Sarà soprattutto interessante vedere se, come ed in quale misura tali accordi verranno posti in essere non solo dalle grandi realtà produttive, le quali, come abbiamo visto, hanno già avuto modo di sperimentare il lavoro agile o smart working, ma anche da parte delle piccole e medie imprese.
Benedetta Gagliardoni
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Macerata
Informazioni, contatti e articoli dell’autrice a questo link


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