Volentieri pubblichiamo questo articolo di Benedetta Gagliardoni, sorella di Andrea Gagliardoni morto a 23 anni per infortunio sul lavoro. A Benedetta auguriamo un futuro radioso e ricco di soddisfazioni
http://antrodichirone.com/index.php/it/2017/03/05/lavoro-agile-o-smart-working-il-lavoro-del-futuro-o-del-presente/
Chi non sognerebbe di poter svolgere almeno parte del
proprio carico lavorativo al di fuori del normale posto di lavoro?
Questa idea, fino a poco tempo fa un’utopia, sta prendendo
piede anche nel nostro Paese, diventando una modalità di lavoro sempre più
concreta.
Lavoro agile o smart working?
Il lavoro agile, detto anche “smart working”,
nasce a seguito dell’avvertita esigenza di individuare strumenti in grado di
rendere maggiormente flessibile la prestazione lavorativa e di aumentare, così,
la produttività, riducendo i costi in capo al datore di lavoro e favorendo la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro del prestatore.
L’equiparazione linguistica tra l’espressione inglese
“smart working” e la traduzione italiana “lavoro agile” ha suscitato
diverse perplessità, dovute al fatto che, mentre la seconda sembra rimandare
direttamente all’obiettivo di semplificare l’armonizzazione tra vita quotidiana
e lavoro, evocando, così, una modalità lavorativa parzialmente indipendente, la
prima, traducibile letteralmente come “lavoro intelligente” sembrerebbe volta
maggiormente a sottolineare la volontà di trovarsi in una realtà lavorativa
caratterizzata da tecnologia, efficienza, versatilità, creatività ed al passo
con i tempi. Tuttavia, seppur le due espressioni assumano significati non
propriamente coincidenti, si ritiene opportuno individuare l’essenza del lavoro
agile o smart working per mezzo di un’operazione di bilanciamento tra
quelle che sono le esigenze prettamente conciliative tra vita e sfera
lavorativa e quello che è il mutamento del metodo di lavoro, sempre più
tendente a modalità “smart” di svolgimento della prestazione lavorativa.
L’intervento del Ddl 2233: cosa si intende per lavoro
agile?
Approvato in data 3 Novembre 2016 dal Senato ed in
attesa del vaglio della Camera, il Ddl n. 2233, recante “Misure per la
tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire
l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”,
si occupa, al Capo II (artt. 15-20), anche del cd. Lavoro agile.
La definizione è contenuta nell’art. 15, che parla non
già di tipologia contrattuale, bensì di “modalità di esecuzione del rapporto
di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti”. Questo
primo periodo introduce due elementi essenziali: la natura subordinata del
rapporto di lavoro e la volontà del lavoratore e del datore di lavoro di
introdurre tale modalità lavorativa.
Caratteristiche del lavoro agile
Continuando la lettura dell’articolo si evincono
ulteriori caratteristiche del lavoro agile:
– forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi,
in modo che datore e prestatore di lavoro siano in grado di rapportare lo
svolgimento del lavoro non ad una misura oraria o giornaliera, ma a fattori
ciclici o teleologici;
– svolgimento della prestazione in assenza di vincoli
di orario o di luogo di lavoro, in parte all’interno dell’azienda ed in parte
all’esterno, senza postazione fissa e con l’unica condizione di dover osservare
i limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale stabiliti
dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
– possibilità di assegnazione e di utilizzo di
strumenti tecnologici aziendali, del cui buon funzionamento è responsabile il
datore di lavoro.
Accordo e trattamento economico-normativo
L’accordo tra lavoratore e datore di lavoro deve
essere stipulato in forma scritta e può essere a termine o a tempo
indeterminato (in quest’ultimo caso il preavviso garantito, qualora si voglia
recedere, non può essere inferiore a 30 giorni, termine che viene elevato a 90
giorni se si tratta di lavoratori disabili). La forma scritta di cui all’art.
16 comma 1, riferendosi “ai fini della regolarità amministrativa e della
prova”, è una forma scritta ad probationem e non, invece, ad
substantiam, caratteristica questa che avrebbe comportato la nullità totale
dell’accordo in oggetto se non stipulato per iscritto.
Il secondo comma, dopo aver prescritto che l’accordo
debba individuare i tempi di riposo del lavoratore, introduce il diritto alla
disconnessione, ossia il diritto del prestatore di lavoro a che nell’accordo
vengano specificate le misure tecniche ed organizzative necessarie affinché il
lavoratore possa disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche utilizzate. A
livello pratico, il diritto alla disconnessione ha la finalità di garantire il
riposo del lavoratore, ponendolo al riparo da sanzioni disciplinari nel caso in
cui si renda non reperibile in un orario diverso da quella che va individuata
contrattualmente come fascia di reperibilità (ad esempio, se la fascia di
reperibilità è dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00, il datore di
lavoro non potrà pretendere che il lavoratore risponda alla sua telefonata
delle 14:00 o delle 20:00). Il regime di reperibilità appena descritto, non
deve essere, tuttavia, inteso quale disagio in capo al lavoratore oggetto di
specifica indennità, come accade normalmente, ma, per contro, come peculiarità
insita proprio nella modalità lavorativa del lavoro agile.
E’ prevista, inoltre, una clausola di salvaguardia in
base alla quale al lavoratore agile deve essere garantito un trattamento
economico e normativo non inferiore a quello applicato alla generalità dei
lavoratori presenti in azienda.
Per quanto riguarda il potere disciplinare e di
controllo del datore di lavoro sull’operato del prestatore, l’art. 18 rimette
l’argomento all’accordo tra le parti, facendo salvo quanto disposto dall’art. 4
dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/70, così come modificato dall’art. 23 del
D. Lgs. 151/2015).
Sicurezza sul lavoro ed assicurazione obbligatoria per
gli infortuni e le malattie professionali
Gli ultimi due articoli del Capo II riguardante il
lavoro agile si preoccupano di dare indicazioni in tema di sicurezza sul
lavoro, stabilendo che il datore di lavoro è tenuto, “con cadenza almeno
annuale” (art. 19 comma 1), a consegnare al lavoratore ed al rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza un’informativa che vada ad individuare i rischi
generali e specifici legati alla prestazione lavorativa svolta in modalità di
lavoro agile. Inoltre, nel successivo art. 20, si prevede l’obbligatorietà
dell’assicurazione per gli infortuni e le malattie professionali e si
stabilisce la tutela del lavoratore anche per quanto riguarda gli infortuni in
itinere intercorsi nel tragitto abitazione-luogo prescelto per lo svolgimento
del lavoro agile.
Lo smart working nell’esperienza reale
Andando a ricercare accordi aziendali che prevedono
già sistemi di conciliazione vita-lavoro ci si rende conto, in primis, che si
tratta quasi sempre di società di grandi dimensioni e, in secondo luogo, che lo
smart working, prospettato come modalità lavorativa in fase di
sperimentazione, viene organizzato limitandolo, dal punto di vista della sua
durata, ad un numero massimo di ore o giornate su base annua o mensile. Tra gli
accordi maggiormente completi troviamo, a titolo esemplificativo:
– Vodafone (regolamento del 16 giugno 2014), ha
previsto 2 giorni al mese;
– General Motors Powertrain (accordo datato 6 marzo
2015), prevede un massimo di 10 giorni all’anno;
– Barilla (accordo del 2 marzo 2015), aveva fissato
inizialmente il limite in 32 ore mensili, estensibili a 64 per soggetti in
particolari condizioni. A metà del 2016 Il limite è stato raddoppiato ad 8
giorni di lavoro flessibile al mese, con l’obiettivo di offrire entro il 2020 a
tutto il personale impiegatizio la possibilità di lavorare in modalità smart
working coprendo la totalità delle ore e dei giorni lavorati. Inoltre,
mediante l’attuazione del piano degli 8 giorni mensili di smart working,
la multinazionale ha stimato un risparmio di circa 2136€ per ciascun impiegato,
somma questa che verrebbe reinvestita a favore del lavoratore.
In conclusione, la questione centrale rimane quella di
osservare come questo nuovo approccio all’organizzazione aziendale, tuttora in
evoluzione e sperimentazione, andrà ad insinuarsi nel panorama lavoristico
italiano e di come le nuove disposizioni verranno concretamente applicate,
riscontro questo che avremo non appena verranno siglati i primi accordi in
tema. Sarà soprattutto interessante vedere se, come ed in quale misura tali
accordi verranno posti in essere non solo dalle grandi realtà produttive, le
quali, come abbiamo visto, hanno già avuto modo di sperimentare il lavoro agile
o smart working, ma anche da parte delle piccole e medie imprese.
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli
Studi di Macerata
Informazioni, contatti e articoli dell’autrice a
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