"Giovanni è morto sul lavoro dieci anni fa. La prescrizione rischia di salvare i colpevoli"
L'Espresso pubblica una lettera di Anna Vitale, moglie di un operaio che perse la vita nel 2007. La ruspa che guidava non era a norma. E si ribaltò, schiacciandolo. Dopo le condanne in primo grado il processo si è fermato. Mancano due anni alla scadenza dei termini: se non si conclude l'iter giudiziario, nessuno pagherà
Il 26 luglio 2007 Giovanni Di Lorenzo perdeva la vita. È morto sul lavoro a 31 anni, lasciando una moglie e una figlia. Era in cantiere, come tutti i giorni. Guidava una ruspa, su una strada in pendenza, ma ne perse il controllo. Il mezzo si ribaltò, schiacciandolo.
Nel 2012, dopo cinque anni, si è concluso il processo di primo grado. I due datori di lavoro sono stati condannati: il mezzo guidato da Giovanni non era a norma, privo delle protezioni più elementari. Da allora non si è mosso più nulla. Non è ancora cominciato il processo di appello, e c'è il rischio che il reato cada in prescrizione.
L’Espresso pubblica la lettera-denuncia della moglie. Che aspetta ancora giustizia.
LA LETTERA
Mi chiamo Anna Vitale, ed ero sposata con Giovanni Di Lorenzo. Giovanni è deceduto il 26 luglio del 2007, in un cantiere vicino a Baiano, in provincia di Avellino. Stava effettuando dei lavori su una strada in elevata pendenza in località Monte Melito. Era alla guida di una ruspa, ma mentre procedeva in retromarcia in discesa, perse il controllo del mezzo. Provò a fermarne la corsa, anche dirigendosi contro la scarpata, ma si ribaltò e rimase schiacciato dal mezzo. La ruspa non era a norma, priva dei presidi che proteggono il guidatore in caso di ribaltamento, tanto più necessari in quanto il mezzo era destinato su una strada in forte pendenza.
Era il 26 luglio in piena estate. Quella mattina mio marito uscì di casa prima delle 7, salutandomi con un bacio. Ci saremmo dovuti vedere per l'ora di pranzo. Mi chiamò verso le 10 dicendomi che non sarebbe tornato, avrebbe mangiato un panino con i colleghi di lavoro.
Verso mezzogiorno mi chiamò mio padre, aveva ricevuto una telefonata il cui contenuto era vago, parlavano di un incidente. Telefonai subito a mio marito ma niente, il cellulare era spento. Sono salita subito in auto pensando al peggio e dopo un quarto d'ora arrivai sul posto. Era una strada di montagna, vidi la ruspa capovolta e tanti carabinieri. Nessuno mi fece passare, volevo vedere Giovanni, ma mi dissero che non potevo, non dovevo.
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In quel momento pensai a Carmen la nostra bambina di due anni, pensai ai nostri progetti, ai suoi sogni. Tutto sembra sereno… Poi un giorno arriva il dolore… Quello grande che porta via tutto, anche il desiderio stesso di vivere, lasciando un vuoto enorme… In quel momento vidi solo il nulla intorno a noi.
Finalmente nel 2012, dopo cinque anni, è arrivata la tanto attesa sentenza di primo grado. Erano quattro gli imputati al processo: un responsabile del procedimento di appalto nominato dal Comune che ha commissionato i lavori, una coordinatrice per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione dei lavori, e i due datori di lavoro. Solo questi ultimi sono stati giudicati colpevoli, condannati a due anni con la condizionale. Vale a dire zero. Mi dovevano risarcire, ma ci hanno impiegato pochissimo a intestare beni di proprietà e società a terze persone e prestanome.
Sono passati altri cinque anni e sto attendendo ancora che inizi il processo di appello. Mia figlia è cresciuta, ora vuole e pretende giustizia per un papà che non le è stato possibile conoscere. Non hanno potuto passeggiare insieme, giocare insieme, essere coccolata. Carmen aveva appena due anni allora e purtroppo non ha ricordi del padre.
La mia paura è che finisca tutto in prescrizione. Il reato di omicidio colposo viene prescritto dopo 12 anni e mezzo e dalla morte di Giovanni ne sono passati ormai più di dieci. Mio marito era un ragazzo di 31 anni, pieno di vita, e non è possibile che gli imputati giudicati colpevoli in primo grado non paghino per ciò che hanno fatto. Ad oggi sono liberi di condurre una vita normale.
Chiedo alle Istituzioni, alle associazioni, alla politica e ai mezzi d'informazione di riaccendere i riflettori sul caso di mio marito.
Anna Vitale
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