Luglio 2023, 22° giorno di un mese estivo, particolarmente
rovente ... le morti sul lavoro si susseguono in un crescendo spaventoso.
Scrive
Carlo Soricelli sull'Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro: "22 Luglio Dall’inizio dell’anno sono morti
complessivamente 805 lavoratori, di questi 509 morti sui luoghi di lavoro, gli
altri sulle strade e in itinere e in altri ambiti lavorativi: per noi chiunque
che muore mentre svolge un lavoro è considerato un morto sul lavoro, ci sono
tutti anche chi ha un’assicurazione diversa da INAIL o che muore in nero."
Si considerino i soli morti per infortunio nei luoghi di lavoro e si faccia un
semplice calcolo tenendo sempre a mente, però, che quelli che si espongono non
sono semplici numeri ma Persone.
A fine giugno, i morti nei luoghi di lavoro da inizio anno, erano 436.
Significa che in sole tre settimane sono morti, lavorando, 73
"individui". Ben più di 3 morti ogni giorno, festività comprese.
"Individui" … è un termine volutamente usato per far capire la
solitudine che oggi si vive nel mondo del lavoro e la desolazione che è
derivata dall'aver perso il senso di appartenenza a una classe, quella di chi
lavora. “Individui” perché si è smarrita quella coscienza che ha permesso,
grazie alle lotte di un grande movimento unitario, di conquistare diritti che
vengono cancellati progressivamente.
"Tutto
si tiene" si diceva allora e si lottava per gli aumenti salariali, per la
salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e fuori di essi, per il diritto alla
rappresentanza, allo sciopero, a minori orari di lavoro, all'istruzione e ai
saperi (cos'erano, se non cultura diffusa, le 150 ore?), a una pensione giusta
e in tempi che potessero lasciar vivere un'esistenza migliore.
Oggi
si accetta tutto. Si "concerta", si parla di competitività (e si
intende tra lavoratori), di profitti sempre maggiori (che vanno nelle capienti
tasche padronali), di produttività ... e si accetta come "ovvia
normalità" che si taglino i costi per la sicurezza, che esistano il
precariato, il lavoro nero, il caporalato, le cooperative che tali non sono, le
privatizzazioni, il lavoro povero che non permette di sopravvivere
dignitosamente.
“Tutto
si tiene", tutto è collegato: i lavoratori sono diventati "individui"
rassegnati e isolati, abituati a lavorare di più, peggio, senza garanzie di
sicurezza, con retribuzioni sempre peggiori, senza prospettive, senza diritti,
senza rispetto. Bestie da soma, insomma.
È
una visione troppo pessimistica della situazione attuale? Può darsi, ma è più
realistica di quello che ci vogliono far credere.
Uscire
da questa situazione è possibile, bisogna tornare a considerare il conflitto
come strumento di riscatto. È necessario lottare uniti, sola maniera di
ottenere nuovi e migliori condizioni di lavoro e di vita.
Ribaltiamo
il concetto imperante oggi di sudditanza quasi religiosa di chi lavora rispetto
a chi "fa impresa".
Riappropriamoci
degli strumenti di lavoro che significa, anche, far si che la tecnologia, la
digitalizzazione, la ricerca, la stessa intelligenza artificiale (della quale
oggi tanto si parla spesso distrattamente e poco si capisce) siano
indirizzate a far vivere meglio chi lavora e non ad arricchire chi sfrutta il
lavoro altrui.
Torniamo
a lottare per il futuro.
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