Caro Carlo,
voglio scrivere una lettera proprio a te che porti il nome di mio
fratello che non c'è più da troppi anni. Lo devo fare appena sveglio, alle 5 di
mattina, solo qualche ora dopo aver sentito a Sanremo la bellissima, dolorosa
“canzone” di Paolo Jannacci e Stefano Massini. Nella presentazione, Amadeus,
legge il numero dei morti sul lavoro dell'anno scorso ed è quello che proprio
tu hai pubblicato sull'Osservatorio nazionale morti sul lavoro. Sono quelle
1485 persone che, nel solo 2023, sono andate a lavorare e non sono tornate a
casa. Inghiottite dal silenzio dell'indifferenza, del “tanto succede”, del
“sono errori umani, non si può fare niente”. Tu, noi sappiamo che non è così e
che dietro a quegli errori ci sono cause precise che non sono mai state risolte
e spesso neppure contrastate da chi avrebbe il potere di farlo.
Carlo, in quel momento ho pensato che, anche senza aver citato la
fonte, il riportare quel numero delle donne e degli uomini uccisi nel lavoro
era comunque un riconoscimento al lavoro che stai facendo da oltre 16 anni.
Finalmente, ho pensato, non vengono riportati i dati delle denunce a INAIL, ma
quelli che diffondi tu e che sono molto più reali. Finalmente, mi sono detto,
la strage di lavoratrici e lavoratori in Italia appare, di fronte a una platea
immensa, in tutta la sua crudele e drammatica realtà.
Hai vinto una battaglia, ma bisogna restare con i piedi per terra.
Noi sappiamo che la pratica del silenzio, direi dell'omertà,
diventa cosa normale quando si parla di morti sul lavoro. È così da tanto,
troppo tempo. E abbiamo anche coscienza che in pochi siamo riusciti a non
abituarci a questo “soffocante silenzio”.
Forse già domani chi muore sul lavoro tornerà nell'ombra, sarà
dimenticato, annullato dall'indifferenza di chi, più di noi, ha la possibilità,
direi il dovere, di tentare, almeno, di risolvere la questione della mancanza
di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Di agire, insomma, per cancellare
il lavoro precario e malpagato, quello nero e tutte le cause di una strage che
sembra non avere fine. Noi abbiamo la forza della nostra volontà e, senza
chiudere occhi, orecchie e bocca, continueremo nella nostra lotta.
Forse è la nostra condanna ma noi dobbiamo scontarla fino in
fondo. Non possiamo fare altrimenti.
E allora, carissimo Carlo, andiamo avanti senza tentennamenti. Ce
lo impongono tutte le lavoratrici e i lavoratori che non ci sono più. Uccisi
non “dal lavoro” ma da un sistema che sfrutta il lavoro altrui e che considera
i diritti di lavoratrici e lavoratori nient'altro che costi negoziabili in nome
del profitto.
Grazie Carlo, a presto.
L’uomo nel lampo https://www.youtube.com/watch?v=C_bS0AG6y4Y
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